Quanto alle differenze, quelle più spesso sottolineate, anche in letteratura è che gli acceleratori hanno un tempo medio di accompagnamento minore degli incubatori. A volte, inoltre, gli incubatori sono considerati offrire un servizio più “early stage” degli acceleratori. In alcuni casi viene evidenziato che nei programmi degli acceleratori i soggetti accompagnati iniziano tutti insieme il loro percorso, come se fossero una classe di studenti. Al contrario, negli incubatori ciò non sembra avvenire.
Quindi, ciclo di vita della startup in cui l’organizzazione interviene, modalità di azione svolta e tempo di permanenza nel progetto sono le differenze: ma sia acceleratori sia incubatori forniscono coworking, consulenza legale e network.
Perché Torino
E ciò che più rileva è che non è un caso che proprio a Torino si realizzi uno studio di questo tipo. Nonostante non sia il Piemonte la regione con il più elevato numero di incubatori (ma la Lombardia che ne ospita il 26%, seguita dall’Emilia Romagna, a quota 13% e dal Lazio con il 9%).
Ma a Torino ha sede I3P, l’Incubatore d’Imprese Innovative del Politecnico di Torino, che ha 20 anni di attività alle spalle e all’attivo 255 imprese incubate da 1999 al 2019 – di cui 22 soltanto negli ultimi 12 mesi – che hanno generato 2.000 posti di lavoro, un giro d’affari di 161 milioni di euro e 182 di valore di produzione. E che lo scorso anno ha ricevuto il riconoscimento come il Miglior Incubatore Pubblico su scala globale secondo l’UBI Global World Rankings of Business Incubators and Accelerators 2019 – 2020.
A Torino si sta sviluppando, in maniera pionieristica, un filone di accelerazione sociale, ovvero mirato alo sviluppo di startup a impatto sul territorio e sulle comunità. E infine, come spesso ricorda il rettore della prestigiosa università piemontese, Guido Saracco, qui si sta cercando di costruire la figura innovativa di “ingegnere creativo, con conoscenze trasversali e non più rigidamente rappresentate in compartimenti stagni. Questo ingegnere è capace di parlare direttamente alle start up, abbinando alle solide componenti scientifiche soft skill e pensiero laterale che possono spingere lo sviluppo non solo delle nuove aziende innovative ma anche di pmi più consolidate”.
Identikit dei 212 incubatori/acceleratori italiani
Ma torniamo al report. Dei 212 incubatori censiti, 38 sono incubatori certificati dal Mise, 27 sono incubatori universitari e 17 sono incubatori corporate. Le analisi svolte dal team Sim mostrano come il 34% degli incubatori/acceleratori italiani abbia dichiarato di acquisire delle quote societarie nelle organizzazioni incubate o facendo investimenti di capitale di rischio o in cambio di prestazioni e servizi (work for equity), dato in crescita rispetto all’anno precedente in cui era uguale al 27%.
Inoltre, i risultati mostrano come, in media, gli incubatori/acceleratori ricevano circa 130 richieste di incubazione ma che ne supportino circa 25: una selezione rigida che vede solo passare solo un quinto delle proposte presentate.
“Il 2020 è stato un anno difficile e non è stato facile raccogliere i dati. Siamo grati ai numerosi incubatori e acceleratori che sono riusciti a rispondere permettendoci di aggiornare le statistiche su questa importante parte del sistema imprenditoriale. Speriamo che il 2021 sia un anno di ripresa, ci sembra per fortuna di scorgere diversi segnali positivi”, così il professor Paolo Landoni, direttore scientifico della ricerca.
Utilizzando una classificazione internazionale, il Report ha distinto gli incubatori/acceleratori in base al loro supporto verso le organizzazioni a significativo impatto sociale.
Aumenta il supporto alle imprese a impatto
In particolare le imprese supportate vengono divise tra imprese ibride che, pur essendo for-profit, destinano parte degli utili a scopi sociali o hanno esplicitamente tra i propri fini degli obiettivi sociali (per esempio le startup Innovative a Vocazione Sociale – SiaVS e le Società Benefit, B Corp). La principale tipologia di organizzazioni incubate è composta dalle imprese for-profit (80% in aggregato). I Social incubator si distinguono dai Mixed e dai Business incubator in quanto il loro portafoglio di imprese incubate è composto dal 50% di imprese ibride e da una discreta percentuale di imprese non-profit.
Rispetto all’anno scorso, si evidenzia un significativo aumento della percentuale di imprese ibride supportate dai Social incubator (dal 22,8% al 50%). I settori più rappresentati per le organizzazioni incubate a significativo impatto sociale sono quelli relativi alla protezione dell’ambiente e degli animali, e della salute e benessere. I settori meno rappresentati sono quelli della finanza sostenibile e protezione dei consumatori, e della pace e giustizia. Nonostante questo, rispetto all’anno scorso, sono aumentate in modo significativo, in rifermento alla crescita percentuale, le organizzazioni del settore pace e giustizia. Inoltre, sono aumentate in modo significativo, in riferimento alla crescita numerica, le organizzazioni del settore sviluppo della comunità.
Oltre tremila startup incubate con fatturato medio di 163mila euro
In generale, se si guarda al numero e alla tipologia di organizzazioni supportate dagli incubatori/acceleratori italiani, l’analisi stima che gli incubatori/acceleratori italiani abbiano supportato 3064 startup. Di queste, il 40% opera nel settore dei servizi di informazione e comunicazione. Gli altri settori in cui le startup incubate operano maggiormente riguardano le attività professionali, scientifiche e tecniche e le attività manifatturiere (24%). Il 16% delle startup incubate opera in attività manifatturiere. Interessante notare come rispetto all’anno precedente sia aumentato soprattutto il numero di startup incubate del settore noleggio, agenzie di viaggi e supporto alle aziende. In circa l’86% delle startup incubate, il numero di dipendenti è inferiore a 5. Circa per il 4% dei casi il numero dei dipendenti è superiore a 10. In circa il 42% delle startup incubate, il fatturato non supera i 25 mila euro.
Circa il 39% delle startup incubate presenta un fatturato maggiore ai 100 mila euro. In media, le startup hanno due
dipendenti ciascuna e un fatturato annuo di circa 163 mila euro.
L’80% della partita si gioca al Nord
Quasi l’80% delle startup incubate si trova in Italia settentrionale. In particolare circa il 51% nelle Regioni del Nord-Ovest. La Lombardia è la Regione in cui si è riscontrato il maggior numero di startup incubate (il 30% del totale) seguita dal Veneto (18%) e dal Piemonte (16%).
L’area meridionale e insulare rappresenta la zona in cui il numero di startup incubate è minore. Ad ogni modo, rispetto all’anno scorso, si riscontra una maggiore rappresentatività delle startup incubate nel Sud e Isole (percentuale dell’anno scorso uguale a 6,5%).
Aumenta il numero di startup incubate (ma diminuisce la dimensione)
Le startup incubate hanno offerto lavoro a 6128 dipendenti e hanno un fatturato totale di circa 499 milioni di euro.
Rispetto all’anno scorso, le stime sui team imprenditoriali e sulle startup incubate in Italia sono aumentate passando da 292 a 346 e da 386 a 448 rispettivamente. Questi aumenti però non hanno fatto aumentare proporzionalmente dipendenti e fatturato, che invece sono diminuiti rispettivamente da 7040 da 500 milioni della rilevazione precedente.
Un fattore connesso alla crescita del numero delle startup incubate è l’aumento, rispetto all’anno scorso, del numero di incubatori presenti in Italia e l’aumento della media dei team ed organizzazioni supportate dagli incubatori.
Altro dato interessante è che circa un terzo degli incubatori hanno dichiarato di acquisire delle quote societarie nelle proprie organizzazioni incubate.
Rispetto all’anno scorso si è registrato un aumento degli incubatori che acquisiscono quote societarie nelle organizzazioni incubate passando dal 27% al 34%, il che si sposa bene con l’idea che siano sempre di più i progetti di lungo termine. Il che è un bene per l’ecosistema dell’innovazione e dunque per il futuro del paese.