Dal vivo è di un rosa carico abbagliante che ricorda il tra monto, ricco di simboli guerreschi sciti o achemenidi (antichissime popolazioni dell’Asia centrale) legati al trapasso. È il
tappeto di Pazyryk, il più antico – integro – mai ritrovato:
vecchio di 2500 anni, è gelosamente conservato all’
Hermitage di San Pietroburgo. Era nel corredo funerario di una tomba kurgan in Siberia, sui monti Altai, ai confini con la Mongolia.
La profanazione del sepolcro è stata la salvezza del tessuto: il ghiaccio penetratovi ha potuto conservare l’arazzo, ibernandolo come fosse un essere vivente. E facendo un magnifico regalo agli archeologi che lo hanno riportato alla luce, insieme con un carro munito di drappi e oggetti per cavalli. Ciò che colpisce del tappeto di Pazyryk, a parte la sua quasi totale integrità, sono i colori vividi, preservati dalla decomposizione del tempo.
Sarouk (Persia), 207 x 140 cm, Preghiera con fondo bianco e albero della vita, fine XIX secolo (collezione Maurizio Cohen). Courtesy Maurizio Cohen
“Tinte che si ottenevano dalle piante, dai fiori. Il celeste per esempio si creava diluendo l’indaco con il latte”, rivela Maurizio Cohen, sceneggiatore, collezionista e storico del tappeto (la sua famiglia era titolare di un rinomato negozio in via del Babuino a Roma). “Le zone in cui storicamente è nata la tessitura corrispondono agli odierni Turkmenistan, Kazakhstan. Non vi è nulla di più sbagliato che usare l’espressione ‘tappeto persiano’ come sinonimo di tappeto orientale. I territori dell’Asia centrale non hanno mai avuto una tradizione di racconto scritto: conosciamo la storia delle loro battaglie e delle loro vicende grazie ai tappeti”.
Zeichur (Caucaso) inizio XX secolo, con fiori e fondo nero, 221 x 160 cm (collezione Maurizio Cohen). Courtesy Maurizio Cohen
Ma l’origine di questa componente d’arredo è poligenetica. “Frammenti antichissimi di tappeti sono stati trovati anche in America Latina. Lo stesso Caucaso presenta una enorme varietà di tecniche e modelli da un villaggio all’altro, a seconda delle tipologie di piante da cui si estraeva il colore”.
La nascita del tappeto si lega a una semplice esigenza funzionale: “Si intrecciavano fibre vegetali per isolarsi dal terreno e proteggersi dall’umidità. Poi, si è aggiunto il significato mistico-religioso della stuoia: le bordure dei tappeti separano dal mondo secolare, creando uno spazio sacro in cui pregare”.
Con il tempo, la funzione decorativa dell’oggetto ha superato quella pratica, facendolo diventare ‘meno calpestabile’ e più simile a un quadro. La Persia si è distinta nella manifattura di lusso. Già dal XVIII secolo partivano da centri come Kashan, Kerman, Tabriz preziosissimi tappeti alla volta dell’Europa. “Si trattava di manifatture cittadine, verticali, che permettevano di produrre pezzi molto grandi. I tappeti di origine nomade invece, geometrici, sono generalmente più piccoli, prodotti con telai ‘portatili’, montati sugli animali. I tappeti persiani sono più raffinati quanto a fattura, ma personalmente credo sprigionino meno ‘calore’”.
l tappeto di Pazyryk, V-IV secolo avanti Cristo, Museo Hermitage
Come si riconosce un buon tappeto? “Innanzitutto, bisogna fare attenzione alla sua integrità. La piccolezza del nodo è solo uno degli indicatori di qualità, non il principale. O meglio: lo è, ma ‘a parità di tappeto’. È come dire che non tutti i Picasso hanno lo stesso valore. Si noti inoltre che spesso le discromie sono indice della naturalezza del colore. Oggi si tende a ostentare grandi specializzazioni sui villaggi di provenienza dei tappeti, ma spesso si tratta di attribuzioni dubbie”.
Dire che oggi il mercato dei tappeti da collezione stia vivendo un momento di auge sarebbe scorretto. “In seguito alla crisi finanziaria del 2008, il giro d’affari è calato, molti eredi o famiglie hanno preferito disfarsi di certi pezzi. In un certo senso, vendere un tappeto importante è meno doloroso che vendere un quadro”.
Khotan, Turkmenistan orientale, fine XIX secolo, 295 x 144 cm (collezione Maurizio Cohen). Courtesy Maurizio Cohen
Quello dei tappeti è un
collezionismo ciclico, che segue le mode: basta che un architetto usi un particolare tipo di tappeto, che la domanda si impenna. Al momento comunque le valutazioni sono interessanti, si possono fare buoni affari”. Tuttavia i manufatti estremamente pregiati restano dei “
beni rifugio a tutti gli effetti, non sono stati intaccati dalla crisi, anzi. Per alcuni di essi i prezzi sono aumentati”. Vi è poi un aspetto curioso, che la dice lunga sulle ossessioni del collezionismo in genere. “Si è sviluppato
fiorente nelle aste il mercato dei frammenti di tappeti, spesso più costosi degli interi”.
Possiamo dire che la mancanza è più preziosa della presenza? “Esattamente”. Ma il mercato è solo vintage? “Non è detto, ci possono essere magari tappeti iraniani risalenti a 30 anni fa di assoluto interesse. Certo, non possono essere venduti come antichi”. Quando si considera antico un tappeto? “Se ha più di 100 anni, può essere definito tale.
Altrimenti è meglio parlare di ‘vecchia lavorazione’”. L’iconografia del tappeto deve molto alla storia dell’arte. Molti modelli – come il Lorenzo Lotto – derivano il loro nome commerciale dai pittori che per primi li ritrassero.
Caucaso, forse Armenia, 1930 circa, 180 x 170 cm, Ritratto di Karl Marx (collezione Maurizio Cohen). Courtesy Maurizio Cohen
Oggi, la cultura del tappeto è sentita soprattutto in Germania, Austria e a New York. A Vienna è particolarmente ferrata la casa d’
aste Dorotheum. E in Italia, esiste una tradizione? “Sì, noi la sottovalutiamo, all’estero invece i nostri tappeti sono molto ricercati dagli intenditori.
Abbiamo autentici capolavori in Sardegna, in Abruzzo. La tradizione abruzzese in particolare è concentrata a Pescocostanzo, dove qualche nobile secoli fa si comprò centinaia di schiave turco-cipriote, che mantennero in vita la tradizione della tessitura”.
Si parla indifferentemente di tappeti e kilim. Qual è la differenza fra l’uno e l’altro? “Nel primo, l’intreccio di trama e ordito creano il reticolo di base su cui si costruisce il tappeto: negli spazi che si vengono a formare tra gli intrecci si passano i fili di lana o seta, annodandoli e lasciando la parte colorata a seconda di come deve essere il prodotto finale. I nodi sono piccolissimi, fatti uno a uno fino a formare il disegno del tappeto. Il kilim invece non è annodato, si ha solo l’intreccio di base. Caratteristica che lo rende più piatto e leggero.
Dal vivo è di un rosa carico abbagliante che ricorda il tra monto, ricco di simboli guerreschi sciti o achemenidi (antichissime popolazioni dell’Asia centrale) legati al trapasso. È il tappeto di Pazyryk, il più antico – integro – mai ritrovato: vecchio di 2500 anni, è gelosamente conservato all’Her…