Il mercato dell’asset management si incammina nella “Via della Seta”. Invesco, tra i principali player globali nella gestione degli investimenti (888 miliardi di dollari a fine 2018), ha aperto le sottoscrizioni anche in Italia del suo “Invesco Belt and Road Dept fund”, fondo obbligazionario che investirà nelle imprese impegnate nel gigantesco progetto infrastrutturale avviato dal governo cinese per migliorare le relazioni commerciali tra Asia ed Europa. “Il mercato ha bisogno di credere in storie in cui investire e questa, piaccia o non piaccia, è una straordinaria storia di crescita sostenuta da motivazioni all’investimento molto forti”, sottolinea Giuliano D’Acunti, Head of sales per l’Italia del colosso Usa. In questa intervista a We Wealth spiega com’è nata l’idea del fondo, le caratteristiche e la filosofia dell’investimento. E, all’indomani della visita in Italia del presidente della repubblica cinese Xi Jinping nella quale è stato sottoscritto il Memorandum of Understanding tra i due paesi, rimarca anche il ruolo che i mercati finanziari possono giocare per attenuare le tensioni geopolitiche nel mondo e promuovere uno sviluppo duraturo nelle relazioni tra le nazioni. “Con la Via della Seta sono in gioco enormi opportunità economiche. Ciò che è importante da un punto di vista economico lo diventa anche per i mercati finanziari. Si traduce in ritorni degli investimenti interessanti con una più bassa volatilità. Tutto questo rafforza la stabilità economica e, per definizione, anche quella politica”.
Da dove nasce l’interesse per la Belt and Road?
Il piano infrastrutturale cinese ha un respiro e una dimensione enorme. Nei prossimi 20-30 anni il paese asiatico investirà 150-200 miliardi di dollari l’anno nei paesi toccati dalle nuove vie di comunicazione. Cnn ha calcolato che la Belt & Road Initiative coprirà oltre 70 Paesi, il 65% della popolazione mondiale e il 40% del Pil mondiale al 2017 (Cina inclusa). Tra l’altro, Il progetto è stato inserito nella costituzione del partito comunista. Questo dà il segnale della sua priorità per la Cina, vuol dire che ci credono profondamente per motivi politici, economici, geopolitici, finanziari. Si tratta di una formidabile opportunità per costruire una proposta d’investimento con un lungo orizzonte temporale. Ne abbiamo bisogno soprattutto per l’Italia dove tradizionalmente la durata degli investimenti è più corta che altrove, ciò che ha sempre ostacolato la migliore allocazione del risparmio.
Ha parlato di motivazioni all’investimento molto forti. Ne può indicare alcune?
Nei prossimi anni la Cina intende mantenere un tasso di sviluppo eleva- to, intorno al 6% l’anno, e per farlo ha bisogno di investimenti. È un’economia che sta cambiando velocemente. Un esempio? La richiesta di macchine a gasolio e benzina è diminuita significativamente ma allo stesso tempo è aumentata del 53% quella di macchine elettriche. Vi sono importanti squilibri da correggere. Se guardiamo di notte quel grande paese con i satelliti di Google map vedremo che la costa è completamente illuminata a differenza dell’entroterra. La “Via della Seta” serve anche a creare infrastrutture e a connettere regioni interne della Cina e delle regioni limitrofe, ad esempio la Mongolia, per espandere nuove aree ed evitare la sovrappopolazione delle regioni costiere.
È un volano di cui beneficeranno anche altri paesi?
Pensi al Ghana, toccato dalle nuove rotte commerciali. È uno dei paesi più poveri del mondo. Ebbene ha ricevuto dalla Cina in- vestimenti per 20 miliardi che equivalgono a circa il 50% del suo Pil. Anche l’Inghilterra ha sottoscritto un trattato economico e commerciale del valore di 20 milioni di sterline l’anno. Tutto questo porterà con sè una crescita economi- ca e ha già prodotto un miglioramento nel rating sovrano del paese.
Poi c’è l’Europa
Certo è il terminale del progetto. Abbiamo visto le prospettive dal punto di vista cinese ma anche le imprese del vecchio continente sono mosse dagli stessi interessi. La Siemens e la Danone, tanto per fare qualche esempio, stanno entrando in quel mercato ma per esportare le proprie merci hanno bisogno di nuove infrastrutture. La Fincantieri ha appena realizzato 4 navi da crociera per la Cina per soddisfare una richiesta di turismo che oggi è irrilevante ma che nei prossimi anni è già stimata in oltre 4 milioni di persone.
Fin qui le opportunità economiche. Ma come si articola il vostro fondo e perché, in relazione alla lunga prospettiva di investimento, avete pensato a un debt fund piuttosto che a un equity fund?
Ci troviamo di fronte a un mega progetto infrastrutturale e tutte le società o i governi che vi parteciperanno avranno bisogno di trovare finanziamenti adeguati. L’unico modo per soddisfare queste necessità è emettere bond sia corporate che governativi. Non tutte le aziende avranno fortuna, però il progetto è ampio e sufficientemente strutturato da garantire performance positive di cui beneficeranno aziende, governi e investitori. In aggiunta è previsto che il fondo possa fare di investimenti tattici nell’equity fino a una percentuale del 10% del portafoglio complessivo.
Nel mercato dei bond andate alla ricerca anche dei premi sulle nuove emissioni?
Proprio così. Ci sono delle aziende che danno un premio quindi un rendimento più interessante rispetto ad aziende comparabili pur di fare in modo che loro emissione abbia successo. All’interno del team abbiamo gestori che lavorano soltanto su questo. È una strategia di trading verso la quale può essere indirizzato fino al 30% del portafoglio (a oggi è al 10%). Le statistiche dicono che sul mercato asiatico, nel 2018, 251 emissioni su 350 hanno registrato un incremento di prezzo nei primi due mesi. Lo stesso trend, nel 2017, ha riguardato 509 emissioni su 600.
Chi farà le scelte d’investimento?
È un altro punto di forza del nostro fondo nato dal nostro team fixed income di Hong Kong, uno dei più riconosciuti a livello globale. Il lead manager, Ken Hu, ha oltre vent’anni di esperienza nel settore e nel 2017 è stato nominato gestore dell’anno. Il nuovo fondo fa parte della piattaforma fixed income di Invesco che gestisce circa 300 miliardi a livello globale con 11 centri di investimento tra cui, appunto, Hong Kong, ma anche Londra, New York, Atlanta e le altre piazze principali finanziarie.
A chi è rivolto Invesco Belt and Road debt fund e con che profilo di rischio-rendimento?
Stiamo parlando di un prodotto per un cliente che ha un orizzonte temporale lungo e che accetta di incorporare il rischio di un portafoglio per larga parte composto da emissioni di mercati emergenti. C’è pertanto un livello di rischiosità da considerare ed è per questo che noi lo consigliamo come parte satellite in un portafoglio d’investimento. E’ pensato per un pubblico retail, ma stiamo misurando interesse crescente anche da parte della clientela istituzionale.
Ma a quale tipologia di fondi può essere assimilato, a quella degli emerging market?
Anch’essa è una caratteristica che lo rende un prodotto unico proprio nell’ottica della diversificazione. Direi che è un fondo complementare a un fondo emerging market. Se guardiamo alla composizione del portafoglio c’è un forte bias a favore dei mercati emergenti con il 42% dell’Asia, il 16% dell’Africa, inclusi paesi come il Ghana e la Nigeria, che normalmente non sono compresi in un fondo emergente. Allo stesso tempo è assente l’America Latina mentre, sul fronte opposto, l’Europa pesa per il 18% di cui l’8% di Svizzera il 4% di Francia 4% di UK il 2% di Germania.
E l’Italia?
Qualcosa c’è e l’idea del team è di incrementare a breve. Nel caso di fondi europei le aziende italiane non arrivano all’1% figuriamoci quando un fondo è così frazionato. Purtroppo pesa, per il nostro paese, la rarefazione dei grandi gruppi.
Quali sono state le prime risposte degli investitori e delle reti di vendita alla vostra proposta?
L’interesse è decisamente alto, considerata anche l’attenzione mediatica in Italia relativa al Memoran- dum appena firmato con la Cina. Ogni settimana registriamo afflussi significativi e i nostri obiettivi sono molto ambiziosi. Per l’Italia c’è poi un aspetto che mi preme sottolineare.
Quale?
Nella fase iniziale di proposizione del fondo, la prima da parte delle reti è stata: “Abbiamo già una pletora di fondi, perché dobbiamo aggiungerne un altro che non ha un track record è che non ha ancora masse”? Il fatto è che non può esistere un track record per un’iniziativa così nuova ma, allo stesso tempo, non puoi far perdere un’opportunità ai tuoi investitori perchè ancora non c’è una storia di 3 anni da poter esibire. Ebbene siamo entrati a regime soltanto da qualche settimana e il 95% dei distributori questo lo ha capito mettendo a disposizione il nostro fondo per la propria rete. È il termometro di quanto questa iniziativa sia considerata attraente dal punto di vista dell’investment case. Siamo stati bravi a giocare d’anticipo e non escludo che altri asset manager potrebbero proporre qualcosa di analogo al nostro fondo.
Ne guadagnerà la competizione. Lo ripeto è un grande progetto e serve anche a stemperare le tensioni geopolitiche. Bisogna evitare di demonizzare il mondo cinese come quello dei nuovi usurpatori della terra con il rischio di creare una sorta di guerra fredda 2.0. Però, ancora una volta, penso che i motivi economici prevarranno sulle tensioni geopolitiche. Il mondo ha bisogno di infrastrutture per far crescere l’economia. E, se l’economia non va, le politiche servono a ben poco.