L’Agenzia delle entrare pubblica una circolare con alcune novità e chiarimenti in materia di smart working
Il lavoro dipendente si considera svolto nel luogo in cui il lavoratore è fisicamente presente quando svolge la prestazione per cui è remunerato, indipendentemente dalla circostanza che la manifestazione di tale lavoro abbia effetti nell’altro Stato contraente
Con una recente circolare, n. 25/E, l’Agenzia delle entrate ha reso chiarimenti relativi ai profili fiscali che vengono in rilievo in relazione al lavoro da remoto (smart working). La circolare, inoltre, fa il punto sulle ultime novità introdotte dalla legge 13 giugno 2023 n. 83, avente ad oggetto accordo tra la Repubblica italiana e la Confederazione svizzera per i lavoratori frontalieri.
LE OPPORTUNITÀ PER TE.
Si può fruire delle agevolazioni fiscali per impatriati anche con lo smart working?
Quali sono gli adempimenti fiscali che deve seguire un nomade digitale?
Gli advisor selezionati da We Wealth possono aiutarti a trovare le risposte che cerchi.
TROVA IL TUO ADVISOR
La residenza dei lavoratori da remoto
Come sin da subito precisato dall’Agenzia, i criteri di radicamento della residenza fiscale delle persone fisiche restano quelli previsti dall’articolo 2 del TUIR (residenza fiscale) e non subiscono alcun mutamento per coloro che svolgono un’attività lavorativa in smart working.
In questo senso, le modalità di svolgimento della prestazione lavorativa non incidono sui criteri di determinazione della residenza fiscale, i quali restano ancorati all’integrazione di almeno una delle condizioni di cui all’articolo 2 del TUIR.
A tal riguardo è bene ribadire che l’articolo 2, comma 2, TUIR introduce e disciplina il concetto di “residenza fiscale”. In particolare, si considerano residenti in Italia le persone fisiche che, per la maggior parte del periodo d’imposta (ossia 183 giorni in un anno, o 184 giorni in caso di anno bisestile):
- sono iscritte nelle anagrafi della popolazione residente
- hanno nel territorio dello Stato italiano il proprio domicilio
- hanno nel territorio dello Stato italiano la propria residenza.
Tali condizioni sono tra loro alternative, con la conseguenza che anche la sussistenza di una sola delle stesse è sufficiente a radicare la residenza di una persona nel territorio dello Stato.
Ciò considerato, ad esempio, mette in evidenza l’Agenzia, si consideri il caso di una cittadina italiana che si è trasferita all’estero, dove svolge un’attività lavorativa in smart working, e ha mantenuto l’iscrizione nelle anagrafi della popolazione residente in Italia per la maggior parte del periodo d’imposta. Tale contribuente, anche qualora avesse trasferito all’estero il suo domicilio e la sua dimora abituale, continuerà a qualificarsi come residente in Italia in ragione del requisito anagrafico, per cui dovrà sottoporre a tassazione tutti i suoi redditi nello Stato italiano. A meno che non intervenga la disciplina prevista, ove applicabile, dalla normativa convenzionale.
Coerentemente, non si considera assoggettabile ad imposizione il soggetto non residente in Italia (in quanto non integra alcuno dei presupposti di cui all’articolo 2 del TUIR) che dal suo Paese di residenza rende le prestazioni per un datore di lavoro italiano. In tal caso, il lavoratore continua a mantenere la residenza all’estero a prescindere dalla sede in Italia del datore di lavoro.
La residenza fiscale nella normativa convenzionale
La normativa interna, tuttavia, chiarisce l’Agenzia, deve essere coordinata con le disposizioni contenute nelle Convenzioni contro le doppie imposizioni stipulate dall’Italia con i singoli Stati esteri, la cui prevalenza sul diritto interno è riconosciuta nell’ordinamento italiano anche in ambito tributario.
Sul punto, si ritiene che in applicazione delle disposizioni convenzionali un soggetto non residente che svolge la sua attività di lavoro dipendente in Italia è assoggettato a imposizione nel nostro Paese in relazione ai redditi imputabili all’attività prestata nel territorio dello Stato.
In questo senso, anche qualora l’attività lavorativa venga svolta da remoto per un datore di lavoro estero, essa si considera comunque prestata in Italia, con conseguente riconoscimento della potestà impositiva italiana.
Più in particolare, il lavoro dipendente si considera svolto nel luogo in cui il lavoratore è fisicamente presente quando svolge la prestazione per cui è remunerato, indipendentemente dalla circostanza che la manifestazione di tale lavoro abbia effetti nell’altro Stato contraente.
La disciplina tributaria dei lavoratori frontalieri
La legge n. 83 del 2023 ha introdotto per i frontalieri Italia-Svizzera nuove disposizioni concernenti la tassazione, applicabili dal 1° gennaio 2024.
La disciplina ha comportato, tra le altre cose:
- un innalzamento della soglia di franchigia da imposizione (relativamente al reddito derivante dal lavoro dipendente prestato all’estero) applicabile ai lavoratori frontalieri fino a 10.000 euro (invero, l’innalzamento della franchigia trova applicazione nei confronti di tutti i lavoratori frontalieri, non solo quindi quelli che prestano l’attività lavorativa nelle zone di frontiera in Svizzera)
- la non imponibilità ai fini dell’imposta sul reddito delle persone fisiche degli assegni di sostegno al nucleo familiare erogati a favore dei frontalieri dagli enti di previdenza degli Stati in cui il primo presta servizio.