- Tra i risparmiatori pronti a investire in strumenti finanziari, il 41,3% vorrebbe farlo in titoli di Stato, il 37,7% in fondi comuni di investimento e il 28,3% in buoni postali di risparmio
- Il 69,6% crede sia meglio investire su strumenti finanziari italiani, al punto che il 48,6% accetterebbe anche rendimenti minori
- Pietrafesa: “Oggi non guardiamo ancora i clienti a 360°. La consulenza finanziaria deve partire dalle loro paure”
Nonostante un quadriennio di emergenze inedite, con effetti significativi sull’economia familiare, gli italiani continuano a risparmiare (ben il 76,7%). Un’abitudine che coinvolge tutti i gruppi sociali, anche se con intensità diverse: il 39,3% risparmia al massimo il 5% del proprio reddito annuo, il 33,2% tra il 6 e il 15%, il 17,2% tra il 15% e il 20%, il 10,3% più del 20%. Ma perché lo fanno? “Perché il risparmio ha la forte capacità di rassicurare gli italiani”, spiega Sara Lena, ricercatrice di Censis intervenuta in occasione della nuova edizione del Salone del risparmio, presentando i dati di del rapporto Perché gli italiani investono come investono realizzato in collaborazione con Assogestioni.
“Il 50,1% lo fa per sentirsi sicuro nel quotidiano, il 36,9% per garantirsi una vecchiaia serena, il 28% per garantire risorse future a figli o nipoti”, racconta Lena. “Ma qualcosa sta cambiando”, avverte. La capacità di rassicurare della liquidità si sta infatti erodendo. Se nella prima edizione dell’analisi, condotta nel 2020, la liquidità era in testa alle destinazioni del risparmio (45%), seguita da investimenti immobiliari (29,9%) e strumenti finanziari (25,1%), oggi non è più così. In testa ci sono gli strumenti finanziari con il 45,8%, seguiti dalla liquidità (32,4%) e dagli investimenti immobiliari (21,8%). Il 78,5% dei risparmiatori pensa infatti che la liquidità non sia più indice di sicurezza come negli anni passati, riducendo così la quota di cash nei portafogli.
47% di italiani pronti a investire di più
In questo scenario, i prodotti del risparmio gestito conservano una loro attrattività per gli italiani: circa il 47% dichiara che investirà di più o inizierà a investire di più in prodotti del risparmio gestito, il 27,5% afferma che già lo fa e che ha intenzione di farlo ancora di più, il 19,5% non lo ha fatto finora e ha intenzione di farlo, mentre il 14,4% resta indeciso. Cosa convincerebbe i refrattari? Il 35,6% cita la possibilità di capire meglio di cosa si tratta, il 23,8% che ci siano prodotti in linea con i propri valori, il 22% costi più bassi per i servizi, il 19% i consigli e le spiegazioni di interlocutori di fiducia e infine il 18,5% prodotti più attraenti e più convincenti.
Titoli di Stato in cima alle scelte degli italiani
Ma paure globali, rialzo dei tassi e livello del debito pubblico rafforzano l’attrattività dei titoli pubblici. Tra i risparmiatori pronti a investire in strumenti finanziari, il 41,3% afferma di volerlo fare in titoli di Stato, il 37,7% in fondi comuni di investimento, il 28,3% in buoni postali di risparmio, il 26,8% in obbligazioni e il 23,9% in polizze assicurative. In più, il 69,6% crede sia meglio investire su strumenti finanziari italiani, al punto che il 48,6% accetterebbe anche rendimenti minori. “In questo contesto, esito di un quadriennio di successive emergenze, i comportamenti relativi alla gestione dei soldi sono stati influenzati dalla percezione di un’elevata incertezza, che ha agito su due livelli: micro e macro”, spiega Lena. Gli aspetti micro riguardano una serie di comportamenti potenzialmente nocivi che i risparmiatori non riconoscono come propri: il 48,3% manifesta una propensione a controllare continuamente l’andamento dei propri investimenti, facendo cambiamenti in base alle variazioni di breve periodo, il 40,7% tende a farsi condizionare da eventi contingenti e improvvisi, il 28,4% tende a seguire i comportamenti più diffusi e il 26,5% si lascia condizionare solo dl presente.
Cosa chiedono alla consulenza finanziaria
“Gli aspetti macro sono legati invece a un nuovo interesse per gli scenari globali, che caratterizza oltre 9 italiani su 10”, dice Lena. “I fatti globali che più attraggono la loro attenzione sono le guerre in corso dall’Ucraina al Medio Oriente (47,6%), i cambiamenti climatici con le relative conseguenze (37,5%) e le crisi e i cambiamenti in altri paesi come Stati Uniti, Russia e Cina (15,5%)”. Aspetti, continua Lena, che alla fine finiscono per condizionarli nella gestione dei soldi. Alla luce di questo contesto, i risparmiatori esprimono il bisogno di una consulenza basic. Il 43,3% chiede di aiutarli a ridurre al minimo i rischi, il 38,6% a investire in prodotti che garantiscono un buon rendimento, il 33,9% che gli consigli prodotti molto flessibili, dai quali è possibile uscire facilmente. Ma c’è anche chi vuole che li aiuti a capire gli eventi e, in generale, i fattori che potrebbero avere conseguenze sugli investimenti (24,7%) e chi manifesta un bisogno di rassicurazione (17,8%).
Serafini (Fideuram Am): “Persa un’occasione enorme”
“I risparmiatori hanno trasferito il rischio garantito dalla Bce della liquidità del conto verso il Btp. Su questo tipo di asset allocation ho qualche perplessità, perché non si fa altro che continuare a finanziare un debito pubblico a rialzo e concentrare il rischio”, osserva Gianluca Serafini, amministratore delegato e direttore generale di Fideuram asset management sgr. “Bisogna dire agli italiani che hanno perso un’occasione enorme. Hanno investito su Btp con una cedola al 3-4%, si sono beccati un’inflazione al 18%, quando poi l’ideale sarebbe stato andare sul risparmio gestito e salvaguardare il proprio potere d’acquisto”, suggerisce Serafini.
“Il nostro Paese offre opportunità di investimento interessanti”, interviene Luca Tenani, country head di Schroders. “Tuttavia, l’errore è concentrare eccessivamente l’investimento, perdendo tutti i benefici di una maggiore diversificazione”. Un altro errore di irrazionalità, evidenzia Tenani tornando ai risultati dell’indagine Censis-Assogestioni, è il time to market: modificare le allocazioni di portafoglio sulla base di scelte emotive. “Un errore perché una scelta basata sull’emotività porta scelte subottimali di allocazione del portafoglio, non finalizzate a trovare risposte di medio-lungo termine”, dice Tenani.
Solo il 17% della ricchezza in mano ai consulenti
Secondo alcuni dati citati da Niccolò Rabitti, co-head of Italy e head of retail distribution di Morgan Stanley investment management, la ricchezza pro capite in Italia dal 2011 al 2022 è cresciuta del 10,5%, negli Usa del 150%, in Germania dell’84% e in Francia del 40%. Se poi si guarda alla ricchezza in mano ai consulenti finanziari, l’Italia sconta un divario altrettanto ampio (17% contro il 47% degli Usa). “Secondo noi il prossimo decennio deve essere un decennio di sfida per l’industria dell’asset management per far sì che ci sia una quota più alta della consulenza finanziaria che possa guidare la ricchezza degli italiani a dei rendimenti superiori a questa crescita del 10,5% che ci vuole sostanzialmente in fondo alla classifica”, dichiara Rabitti.
Il modello della consulenza finanziaria del futuro
“Stiamo studiando il modello della consulenza finanziaria del futuro”, interviene infine Paola Pietrafesa, amministratore delegato di Allianz Bank Financial Advisors. “Oggi la interpretiamo come l’asset allocation della finanza del cliente e non guardiamo ancora i clienti a 360°. La consulenza finanziaria deve partire dalle loro paure”. L’anno scorso, ricorda Pietrafesa, i risparmiatori hanno reagito per due ragioni: tassi di interesse positivi ma anche i mercati drammatici del 2022. “Sono fuggiti e sono andati verso i titoli di Stato. Noi dobbiamo gestire i loro timori attraverso strumenti corretti, pensionistici piuttosto che assicurativi”, suggerisce Pietrafesa. “Bisogna costruire una consulenza che tocchi tutte le corde del cliente, facendogli percepire che lo si protegge nel medio-lungo termine ma che gli si consente di affrontare le sue paure nell’immediato”.