Forse anche per questo motivo il disegno di legge delega per la riforma fiscale (ancora una volta) di matrice governativa – preannunciato per la fine di luglio dal ministro per l’economia Franco – è slittato, e con esso i successivi decreti delegati (sempre di emanazione governativa) necessari a dare esecuzione alla delega in questione.
Il tempo però stringe (mancano solo 18 mesi alla fine della legislatura, e, con essa, della delega in parola, sempre che veda la luce), tenuto conto poi che serve “una riforma ampia e organica. Non è una buona idea cambiare le tasse una alla volta” (parola di ministro).
Nel documento viene ancora una volta ribadito come, tra gli obiettivi di politica economica, rivesta un ruolo rilevante il progetto di un’ampia riforma fiscale (per inciso, richiesta anche dal Piano nazionale di ripresa e resilienza – Pnrr), finalizzata a semplificare e razionalizzare la struttura dei prelievi, riducendo gradualmente il carico fiscale e preservando la progressività: in soldoni, meno tasse, senza sposare tuttavia la “flat tax”.
Il problema, come sempre, è “chi paga” (posto che i fondi europei sono destinati a nuovi progetti, e non a ridurre le tasse nostrane), problema ancora una volta rimandato al futuro, posto che nella relazione si legge che “detta riforma sarà accompagnata dall’istituzione del nuovo ≪fondo per l’attuazione della riforma fiscale≫ e dall’eventuale incremento delle risorse che potranno essere iscritte nel fondo ≪fedeltà fiscale≫, istituito con la legge di bilancio per il 2021 e da alimentare con i proventi delle maggiori entrate legate all’aumento della compliance che verranno successivamente restituiti, in tutto o in parte, ai contribuenti sotto forma di riduzione del prelievo”.
Tradotto: il fondo per l’attuazione della riforma fiscale al momento è vuoto (rectius, ancora non c’è), e quello della fedeltà fiscale, di fresca istituzione, deve fare affidamento non tanto sugli onesti, che già pagano, ma su coloro che si “convertiranno” a una maggiore onestà.
E se sfruttassimo i mesi (di legislatura) che restano per una riforma della giustizia tributaria, in stato comatoso, soprassedendo (per una volta) su quella (forse inutile) fiscale?
Magari il vero problema del fisco non è il sistema complicato (i contribuenti italiani sono allenati), ma la mancanza di un Giudice (con la g maiuscola) che sappia tutelare l’equa e ragionevole applicazione delle norme, rispetto alle quali l’Agenzia delle entrate, per quanto imparziale, è comunque una “parte” del rapporto tributario (parola, anche, di investitori esteri).