Fabrizio Landi di RetImpresa: “Credo che la rete d’impresa rappresenti uno strumento legislativo evolutivo, che consente di trasformare in maniera più efficiente ed efficace il nostro network di piccole aziende”
Uno strumento che, secondo gli esperti, potrebbe aiutare le imprese ad affrontare anche le sfide post-covid (a partire dal nuovo concetto di globalizzazione). Ma bisognerebbe abbandonare la logica della rete come “un’unione di piccoli”
All’alba di nuovi lockdown a livello internazionale, la ripresa post-covid continua a mostrarsi più difficile e altalenante di quanto previsto inizialmente dagli analisti. Ma a fronte di una crisi che ha ulteriormente aggravato la capacità di sopravvivenza delle piccole e medie imprese italiane, le reti d’impresa potrebbero rappresentare un’importante occasione di miglioramento. E anche di ripartenza.
A rivelarlo è un nuovo studio realizzato dall’Osservatorio nazionale sulle reti d’impresa, l’Università Ca’ Foscari di Venezia, RetImpresa e InfoCamere, volto a definire se e quale tipologia di contratto di rete (una tipologia di contratto introdotto nell’ordinamento giuridico italiano nel 2009 che consente di costruire raggruppamenti di imprese volti alla collaborazione reciproca,
ndr) sia efficace a sostenere la performance delle singole aziende.
Su il fatturato per oltre il 30% delle imprese
Stando all’analisi, infatti, oltre il 30% delle imprese (a tre anni dall’ingresso in rete) sono cresciute in termini di fatturato, numero di addetti, valore della produzione e redditività rispetto al triennio precedente. Nel dettaglio, spiega Anna Cabigiosu, professoressa del dipartimento management dell’Università Ca’ Foscari, a incidere principalmente è la dimensione temporale: “l’esperienza di rete è positiva e contribuisce a migliorare la performance dell’impresa fino a un certo punto, oltre il quale perde il suo effetto positivo”, si legge nello studio.
“La dimensione della rete, invece, non aiuta. E sul fronte dei meccanismi di governance, la crescita delle prestazioni è legata soprattutto alla figura del presidente. Molto importante, piuttosto, è il
coordinamento formale con contratti che regolino l’entrata e l’uscita della rete e la condotta dei partecipanti, avere un piano di rete, una strategia, degli standard comuni che regolino le attività e i processi delle imprese”, spiega Cabigiosu. Ma anche obiettivi correlati “a un vero e proprio intento strategico”. “I nostri risultati enfatizzano come il fare innovazione congiuntamente abbia
un impatto positivo sul Roi (Return on investment,
ndr), mentre tattiche di breve termine non incidono positivamente sulla crescita”, aggiunge, pur precisando che tali risultati vadano letti con cautela, tenendo conto che possano innescarsi dinamiche diverse a seconda dei settori specifici.
Il contratto di rete come strumento anti-crisi
“Il contratto di rete nasce nel 2009, a valle di un periodo di difficoltà per le piccole e medie imprese”, continua l’esperta. “È stato pensato, infatti, per aiutarle a uscire dalla crisi, trovando in esso una nuova modalità di collaborazione. Sulla stessa linea d’onda, nel 2020 il legislatore ha rinforzato questo istituto e i nostri dati rivelano che le imprese che appartengono a una rete abbiano ancora riportato benefici in termini di redditività e performance”, conclude Cabigiosu.
Ma, secondo gli esperti, resta comunque necessario fare ancora “cultura di rete” e sviluppare adeguate competenze relative. “In questo momento abbiamo bisogno di strumenti che aiutino gli imprenditori a trovare soluzioni organizzative che aumentino la loro capacità di resilienza – interviene
Fabrizio Landi, presidente di RetImpresa – Credo che la rete, nel modo in cui si è sviluppata in questi anni, rappresenti uno strumento legislativo evolutivo, che consente di trasformare in maniera più efficiente ed efficace il nostro network di piccole aziende facilitando forme di aggregazione evolutive e aiutando gli imprenditori a fare massa critica e a trasformare quello che potrebbe essere un punto di debolezza potenziale per il futuro del Paese in un sistema in grado di competere in tutto il mondo”.
Manzella: “No alla logica di rete come un’unione di piccoli”
Un modello, secondo Mauro Marchesini, vice presidente per le filiere e le medie imprese di Confindustria, che potrebbe dunque aiutare le imprese ad affrontare le sfide post-covid (a partire dal nuovo concetto di globalizzazione). Sfide, spiega, “difficilmente superabili dalle singole aziende, date le loro dimensioni”. “Far rete fa bene alle imprese e consente di aggredire importanti nodi del nostro sistema: la dimensione, la scarsa internazionalizzazione e la scarsa innovazione”, aggiunge Gian Paolo Manzella, sottosegretario di Stato del ministero dello Sviluppo economico. Poi conclude: “Questo è un tempo in cui la collaborazione viene vista come un elemento essenziale sul fronte della resilienza, perché il costo della distanza d’improvviso ci ha presentato il conto. Dalla contaminazione e dalla collaborazione nasce la crescita. Usciamo dalla logica della rete come un’unione di piccoli. Bisogna far comprendere all’imprenditore che fare rete non significa abdicare o abbandonare la creatura sulla quale ha scommesso, ma ampliarne le prospettive, innovare e internazionalizzarsi. Rendere la sua stessa creatura più forte”.
Fabrizio Landi di RetImpresa: “Credo che la rete d’impresa rappresenti uno strumento legislativo evolutivo, che consente di trasformare in maniera più efficiente ed efficace il nostro network di piccole aziende”Uno strumento che, secondo gli esperti, potrebbe aiutare le imprese ad affrontare anche l…