Tra soli tre anni, lo spettro del divieto alle retrocessioni potrebbe tornare sul tavolo del regolatore europeo
– Terminata la consultazione in corso, la proposta della Commissione dovrà ottenere l’ok di Parlamento europeo e Consiglio dell’Ue. Ma a prima vista, le implicazioni del “pacchetto” di norme sono tutto fuorché banali
Il pacchetto di misure che la Commissione Europea ha adottato per riformare il mercato della consulenza finanziaria e dei prodotti d’investimento è denso di implicazioni di cui, al momento, si parla poco, tra gli addetti ai lavori. La sensazione è che in molti stiano sottovalutando la portata dei cambiamenti in arrivo. Potrebbe essere un errore.
È vero che lo scoglio più duro è superato: non è passata, come previsto, la proposta iniziale di Mairead McGuinness (nella foto), un divieto categorico alle retrocessioni che avrebbe proiettato l’intera Eurozona verso un modello unico, “fee only”, come in Olanda e Uk. Il ban, infatti, sarà applicato solo ai servizi di mera esecuzione degli ordini, almeno per adesso. Ma il Retail investment package pubblicato il 24 maggio presenta altri elementi di novità sostanziale, che potrebbero avere una ricaduta non trascurabile sull’attività degli intermediari e dei singoli banker.
Retail investment strategy: cosa cambia per la consulenza finanziaria
Basti pensare che la nuova direttiva interviene su un perimetro molto vasto, a modifica di una serie di altre norme: Mifid2, Idd (distribuzione di prodotti assicurativi), Direttiva Ucits, Aimfd (fondi di investimento alternativi), Solvency 2 e regolamento Priip (prodotti d’investimento al dettaglio e assicurativi preassemblati).
Due sono i capitoli che saltano subito all’occhio leggendo il lungo documento redatto dai tecnici della Commissione.
Le novità sulla trasparenza dei costi
Da una parte, s’intravede la volontà concreta di migliorare in modo sostanziale la trasparenza sui costi. La Commissione dice che intende “modernizzare l’informativa in modo che sia adatta alla distribuzione digitale” e “standardizzare l’informativa sui costi per garantire che siano veramente trasparenti per gli investitori al dettaglio, sia in termini di comprensione dei costi (inclusi eventuali pagamenti di incentivi a un intermediario) che del loro impatto sul rendimento dell’investimento”: non viene chiamato per nome in modo esplicito, ma l’unica via parrebbe quella di un template, un modello di scheda sintetica, uguale per tutti gli intermediari, che consenta di confrontare i prodotti tra loro. Operazione oggi praticamente impossibile, vista l’ampia eterogeneità di soluzioni adottate dai singoli intermediari per rispondere formalmente agli obblighi di legge sulla trasparenza.
I benchmark di costi e rendimento sui singoli prodotti
Già questo sarebbe un passo in avanti non trascurabile. Ma c’è di più. Il pacchetto affida alle autorità di vigilanza, Esma ed Eiopa, il mandato “a sviluppare benchmark di costo e di rendimento rispetto ai quali i produttori e i distributori dovranno confrontare i loro prodotti prima di offrirli sul mercato”, dice il documento.
“Una deviazione dal benchmark dovrebbe far presumere che i costi e gli oneri siano troppo elevati e che il prodotto non sia conveniente, a meno che il produttore o il distributore non siano in grado di dimostrare il contrario”. E “se un produttore o un distributore ritiene che il prodotto non fornisca valore agli investitori al dettaglio, non deve approvarne la distribuzione”. Il concetto di value for money, il rapporto qualità-prezzo dei prodotti destinati agli investitori retail, sembra essere il mantra del regolatore europeo in questo provvedimento.
La Retail Investment Strategy: l’impatto sul mercato
Si sa, il diavolo è nei dettagli. Il modo in cui queste regole e questi processi saranno declinati, nel concreto, farà una bella differenza. E, terminata la consultazione in corso, dovrà arrivare l’ok di Parlamento europeo e Consiglio dell’Ue. Ma a prima vista, le implicazioni del “pacchetto” di norme sono tutto fuorché banali. Pensiamo al peso relativo che etf e fondi passivi hanno oggi nei portafogli, destinato a crescere significativamente se il meccanismo dei benchmark sarà applicato in modo rigoroso. E pensiamo ai nuovi oneri, in termini di product governance, che spingeranno i grandi distributori, verosimilmente, a chiudere ulteriormente le maglie dell’architettura aperta, focalizzandosi su un numero sempre più limitato di produttori e di prodotti.
In ogni caso, la spada di Damocle di un divieto tranchant agli inducement rimane sul tavolo: “Tre anni dopo l’adozione del pacchetto, la Commissione valuterà gli effetti degli incentivi e l’impatto delle nuove norme introdotte. In caso di persistente pregiudizio per i consumatori, potrà adottare norme rafforzate”. Il Retail investment package farà ancora parlare di sé.