A seguito dell’agevolazione normativa inserita nel nostro impianto giuridico nel 2017, è stata superata l’incertezza legata alla loro presunta assimilazione a strumenti remunerativi dell’attività lavorativa (dipendente, assimilata o autonoma) del management, che avrebbe comportato l’obbligo di tassazione come reddito di lavoro ad aliquota Irpef progressiva.
Per far sì che ciò avvenga, la normativa richiede il rispetto contemporaneo di tre requisiti.
Il primo è che l’impegno di investimento complessivo di tutti i dipendenti e amministratori che beneficiano del carry abbia comportato un esborso pari almeno all’1% dell’investimento complessivo effettuato nel veicolo (del valore corrente del patrimonio netto, per le società).
In secondo luogo, i rendimenti del carried interest devono essere postergati rispetto a quelli degli altri investitori; ciò significa che prima del pagamento dei carry è necessario che la generalità dei soci abbia ottenuto il rimborso del capitale investito oltre a un rendimento adeguato (il cosiddetto hurdle rate).
Infine, l’ultima condizione per beneficiare dell’agevolazione è che i carried interest siano detenuti per almeno 5 anni.
La tassazione favorevole è subordinata a un’analisi fattuale del regolamento di loro assegnazione perché eventuali clausole che, per esempio, legassero indissolubilmente il mantenimento della partecipazione alla sussistenza del rapporto di lavoro con la società/fondo emittente, indebolirebbero la natura di reddito finanziario del rendimento ottenibile dai carried interest, con il rischio di tassazione come reddito di lavoro dipendente.
Resta sicuramente uno strumento di incentivazione del management molto efficiente ed efficace, però maggiormente adattabile alle realtà più strutturate, in quanto l’implementazione risulta più articolata rispetto ad altri strumenti trattati nei precedenti interventi.
(Articolo scritto in collaborazione con Annalisa Gobbo di Lca Studio Legale)