Articolo tratto da numero di luglio di We Wealth
Non sono tempi facili per chi investe in immobili con un orizzonte globale. Il poderoso rialzo dei tassi d’interesse, come previsto, ha raffreddato la domanda di immobili. Prima ancora, la pandemia aveva colpito gli uffici, che nell’era dello smart working avevano perso parte della propria centralità. Secondo un sondaggio di Bank of America realizzato a giugno, il 32% dei gestori di fondi vede il mattone commerciale americano come la principale fonte di crisi creditizia sistemica. Appena un mese prima, il posizionamento strategico dei fund manager sull’immobiliare aveva raggiunto il suo livello più basso dal 2009, con un sottopeso netto in portafoglio per il 28% degli intervistati.
Grazie a qualche speranza in più sul rientro dell’inflazione americana, grazie a un positivo dato di giugno che ha fatto pensare a un più rapido taglio dei tassi d’interesse da parte della Fed, qualcosa sembra essersi mosso nelle scommesse dei gestori. Infatti, i Reit (Real Estate Investment Trust), trust immobiliari quotati che permettono di investire nel settore immobiliare con un approccio finanziario, sono stati il terzo investimento più incrementato nei portafogli dei fund manager globali a giugno. Ci si potrebbe chiedere, dunque, se il settore immobiliare finanziario abbia toccato il fondo dopo il colpo subito con il rialzo dei tassi, e se questo possa essere un momento favorevole per posizionarsi in prima fila nel recupero dell’immobiliare. L’ipotesi alla base di questa mossa è che, quando i tassi scendono, la domanda di mutui di solito aumenta, così come il prezzo degli immobili.
Nessuno può conoscere con certezza la prossima svolta del mercato, ma è sicuro che nel recente passato i Reit non siano stati un grande affare. L’indice FTSE EPRA Nareit Developed Dividend+, che è il riferimento replicato dall’Etf immobiliare più diffuso in Europa, risulta in calo del 3,9% da inizio anno al 31 maggio. E nell’ultimo triennio l’indice ha perso valore per l’11,1%, pari al 3,9% annualizzato. Una performance tendenzialmente inferiore a quella delle obbligazioni americane, un’altra asset class che tende a soffrire quando i tassi salgono.
I primi tre Etf immobiliari, fra quelli accessibili agli investitori italiani, gestiscono circa 2 miliardi di euro, con costi totali che possono scendere anche sotto lo 0,25% annuo. “Pochi sanno che è possibile ottenere un’esposizione più semplice al settore tramite aziende specifiche quotate in Borsa, con i Reit”, afferma a We Wealth un portavoce di VanEck, una delle società d’investimento che propone Etf immobiliari in Italia. “Queste sono società che derivano i propri ricavi da immobili di varia natura, per esempio tramite attività di leasing”, prosegue VanEck, “sono obbligate secondo le leggi di molti Paesi a distribuire almeno il 70-90% dei profitti sotto forma di dividendi, il che le rende attraenti per quegli investitori che cercano distribuzioni regolari”.
In un certo senso, anche con il mattone finanziario si incassa “l’affitto”, il che è un aspetto che va considerato nel valutare le performance complessive dell’investimento. Investire in immobili attraverso un prodotto finanziario potrebbe offrire opportunità a chi abita in zone caratterizzate da un mercato immobiliare poco dinamico dall’investire in immobili fisici con poco potenziale di rivalutazione. Il rovescio della medaglia è che buona parte degli immobili che si trovano nei Reit hanno un valore generalmente più volatile rispetto alla media osservata in Italia, un mercato che nel bene e nel male appare più ingessato. In particolare, l’aumento dei tassi d’interesse ha giocato un brutto tiro a chi avesse investito in questi prodotti prima del 2022. “Gli investitori sono rimasti alla larga dai Reit negli ultimi due anni, con specifiche aree come il commercial real estate in particolare difficoltà”, afferma VanEck, “questo ha generato frequentemente anche timori sistemici per altri settori dell’economia come quello delle banche regionali, fortemente esposte a questo segmento”.
La buona notizia per chi ne è rimasto fuori finora è che, con il primo taglio dei tassi Fed all’orizzonte, in questa fase ci potrebbe essere spazio per un acquisto a prezzi favorevoli. “Ad oggi, banche centrali come la Bce hanno mosso i primi passi verso un abbassamento dei tassi: questo potrebbe senz’altro contribuire a una ripresa del settore”, ha affermato VanEck. L’attrattiva del Reit, per una buona parte dei risparmiatori italiani con patrimoni significativi, risente un po’ delle scelte finanziarie tipiche dello Stivale, in cui investire in seconde e terze case rappresentava una scelta molto diffusa. “E’ vero che gli Etf immobiliari consentono l’accesso a un mercato immobiliare infinitamente più ampio a livello geografico e a livello di tipologia di immobili gestiti e non hanno l’elevato costo manutentivo in termini di tempo e denaro degli immobili fisici”, dice a We Wealth il consulente finanziario autonomo Andrea Bosio (Aegis Scf), tuttavia “è anche vero che chi ha già un’esposizione consistente all’immobiliare non farebbe altro che accrescere la concentrazione sul settore immobiliare investendo in Reit, magari con la falsa impressione di diversificare il patrimonio”. In linea generale, anche se con intensità diverse, un rialzo dei tassi colpisce sia i Reit sia le proprie seconde o terze case da investimento. In un certo senso, il Reit andrebbe visto come un’alternativa flessibile all’immobile vero e proprio, anche se l’iperconcentrazione del patrimonio sugli immobili tende a ridursi solo quando si raggiungono livelli di ricchezza molto elevati. In questi ultimi casi il Reit potrebbe dire più facilmente la sua. Per la fetta più diffusa di investitori, l’esposizione all’immobiliare, ricorda Bosio, avviene già anche negli Etf azionari globali più tradizionali: i Reit, ad esempio, rappresentano il 2,13% del portafoglio dell’iShares Core MSCI World UCITS ETF USD, un Etf particolarmente noto e diffuso.
“Personalmente inserirei un ETF su immobiliare globale ad accumulazione in un portafoglio a crescita del capitale solo nell’allocazione tattica e solo se il cliente non ha già un’esposizione patrimoniale importante all’immobiliare”, conclude Bosio, “in un portafoglio a distribuzione con finalità di rendita, invece, possono trovare spazio, ma in questo caso la natura dello strumento limiterà di molto l’aumento di valore in conto capitale”.