Uscire dai fondi alternativi può essere problematico anche quando, tecnicamente, è una possibilità ammessa dal gestore. Una nuova vicenda, questa volta legata al noto private equity KKR, ha riportato all’attenzione degli investitori questo inconveniente delle asset class alternative. In seguito alle crescenti domande di rimborso, il KKR Real Estate Select Trust fund (Krest), un fondo immobiliare quotato da 1,6 miliardi di dollari, ha potuto liquidare solo il 62% delle richieste. E’ quanto si apprende dai dati depositati dalla società relativi al periodo compreso fra settembre e novembre 2022.
L’impatto negativo dei rialzi dei tassi sul mercato immobiliare, infatti, ha incoraggiato gli investitori a uscire da potenziali perdite future, e a far salire il controvalore delle richieste di rimborso all’8,1% degli asset del fondo – ben oltre il 5% che KKR permette di liquidare ogni tre mesi. La storia sembra seguire la falsariga del Blackstone Real Estate Trust (Breit), un altro fondo immobiliare quotato che lo scorso novembre si era visto costretto a respingere il 57% delle richieste di rimborso.
Garantire un margine di liquidità a dei fondi che, tipicamente, investono in progetti immobiliari di lungo termine era una caratteristica che poteva, apparentemente, offrire il “meglio dei due mondi”: i maggiori ritorni di lungo periodo, ma con la flessibilità di poter rientrare in possesso dell’investimento quando serve. Tutto molto bello, finché le richieste di rimborso non si concentrano nello stesso momento, scontrandosi con i limiti mensili e trimestrali sui rimborsi (nel caso di Krest, pari al 2 e al 5% degli asset).
Fondi alternativi, avvisi ai naviganti
Fenomeni di questo tipo, “in generale, non sono inusuali: è stato inusuale il lunghissimo trend a rialzo dei mercati che ha fatto dimenticare ragionamenti razionali di ‘relative value’. Tutto era growth e long term, per cui anche il rischio di liquidità era alleviato dalla grande liquidità e dall’aspettativa che, se passa il tempo, il prezzo sarà più alto”, ha dichiarato a We Wealth Massimiliano Saccone founder e ceo di XTAL Strategies, una fintech specializzata sui mercati non quotati. La percezione della crescita pressoché costante e inarrestabile del mercato, con il ritiro della liquidità facile da parte delle banche centrali sembra essersi incrinata, riportando alla mente degli investitori i possibili inconvenienti di una liquidità limitata o assente.
Situazioni come quelle del Breit o del Krest, ha affermato Saccone, “sono figlie delle regole accettate nel prospetto dagli investitori […] La regola dei fondi non quotati è che di solito sono chiusi: non si può cambiare idea”. Krest e Breit, però offrono un po’ di flessibilità in più, perché “sono semi-aperti, ovvero rimborsano con dei limiti, il 2% al mese e il 5% al trimestre di norma”.
Perché la corsa al rimborso
A motivare una possibile ondata di richieste di rimborso, quando il mercato scende, può essere un disaccoppiamento fra il prezzo di mercato e il net asset value (Nav) del fondo (che esprime il valore degli asset diviso per il numero di quote in circolazione). “Un fondo non quotato, come i veicoli di KKR e Blackstone, potrebbe, per motivi vari (miglior portafoglio, diverso approccio di valutazione del Nav, etc), avere un Nav che non si è svalutato per ‘dinamica di repricing di mercato’. Non avendo scambi di mercato, l’assunzione (anche contrattuale per i riscatti) è che il prezzo sia equivalente al Nav”, ha dichiarato Saccone. Per gli strumenti quotati, come i Reit “il problema è diverso: il Nav può essere altrettanto buono, ma la pressione dei venditori sul mercato può portare il prezzo a scostarsi dal Nav teorico”. Si viene così a creare una situazione in cui il prezzo è inferiore al Nav.
Quando questo avviene, gli investitori provano vendere le quote dei fondi il cui Nav non si sia svalutato per comprare strumenti con sottostanti simili, ma a prezzi apparentemente inferiori. Ma il diritto riscatto al valore del Nav, ha ricordato Saccone, “non esiste, se non limitato”.
I limiti della narrativa “illiquido è bello”
Il problema della minore liquidità è stata spesso presentata come una impalpabile virtù dei fondi alternativi. Situazioni come quelle di Krest e Breit possono suggerire una visione più equilibrata della rappresentazione fra rischio e rendimento dei fondi alternativi?
“Le cose che si comprano vanno conosciute e vanno apprezzati gli incentivi delle parti: il gestore con il beneficio del lungo termine può fare teoricamente un buon lavoro, ma non è detto che il lungo termine coincida con un rischio di mercato premiante”, ha affermato Saccone, “come spesso dico, in maniera metaforica ma non troppo, la volatilità è il prezzo della liquidità, consente al compratore di tarare il premio per il rischio al rendimento atteso”.
Il problema della liquidità degli investimenti in prodotti alternativi viene sottovalutato con frequenza? “Non so se venga sottovalutato, di volta in volta si creano narrative che portano a semplificazioni e logiche complesse sembrano semplici, anche perché di solito vengono a consolidarsi in periodi positivi. Nell’ultima versione della narrativa, illiquidità diviene elemento positivo di ‘miglior’ rendimento con una logica a priori. Non ho detto maggiore ho detto migliore, come se l’illiquidità possa difendere per default dal rischio di mercato. Ecco credo che questo concetto sia stato semplificato in maniera eccessiva, perché i mercati privati comprano e vendono asset – e queste transazioni sono di norma a mark-to-market, perché il compratore difende il suo interesse a ottenere il prezzo migliore”, ha affermato sul punto il fondatore di XTAL Strategies. Che l’illiquidità protegga dagli alti e bassi del mercato è vero solo se, quando arriva il momento di vendere, al ribasso è seguito un corrispondente rimbalzo “sperando che l’investitore non abbia nel frattempo bisogno di liquidità. Quella c’è sempre, per ogni asset, at-a-price”. Ossia, non è gratis.