Sono queste, in estrema sintesi, le risultanze che si apprendono dalla circolare del ministero del Lavoro n. 9 del 21 aprile 2022, emanata al fine di fornire chiarimenti circa l’iscrizione degli enti del terzo settore al Registro unico
Tale disposizione, oltre a limitare la possibilità di utilizzo dei trust per fini sociali o caritatevoli, comporta rilevanti problematiche per gli attuali trust onlus
Al fine di comprendere la portata della citata circolare n. 9/2022, sia concessa una brevissima disamina in merito alla istituzione del Registro unico nazione del terzo Settore (c.d. “runts”).
Il runts – istituito presso il ministero del Lavoro e delle Politiche sociali e gestito su base territoriale in collaborazione con ciascuna Regione e Provincia autonoma – è uno strumento che permette di perseguire i principi di omogeneità, trasparenza e pubblicità sanciti nella legge delega n. 106 del 2016, di riforma del terzo settore. Si concretizza in un registro attraverso il quale riorganizzare il sistema di registrazione degli enti che, su base volontaria, intendano iscriversi in esso, ottenendo in tal modo di poter fruire di differenti ed importanti agevolazioni, soprattutto di natura fiscale.
Al runts possono iscriversi sia gli enti di nuova costituzione sia quelli già costituiti che intendano qualificarsi quali enti del terzo Settore (cc.dd.“Ets”), scegliendo la sezione che ritengano si adatti meglio al raggiungimento delle proprie finalità civiche, solidaristiche e di utilità sociale.
Il Registro infine è pubblico ed accessibile a tutti gli interessati in modalità telematica online, presso apposita area dedicata del Ministero del Lavoro e delle Politiche Sociali.
Ciò posto, si rappresenta come lo scorso 23 novembre 2021 è stato ufficialmente reso operativo il runts, con possibilità degli Enti interessati di procedere all’iscrizione. Per tale ragione, il Ministero del Lavoro ha fornito note esplicative mediante la circolare n. 9/2022 in commento, anche al fine di di “garantire l’uniformità di trattamento sull’intero territorio nazionale, in ossequio al principio costituzionale di eguaglianza della normativa su tutto il territorio nazionale, oltreché di assicurare l’essenziale e irrinunciabile autonomia che deve caratterizzare i soggetti del Terzo settore”, così come affermato dalla consulta, mediante la sentenza n. 185/2018.
Orbene, sullo specifico tema, il Ministero del Lavoro dedica un apposito paragrafo, rubricato “Casi particolari: Il trust e il Terzo settore”. In primo luogo viene specificato come, per effetto della Legge finanziaria per il 2007 (art.1, comma 74, Legge n. 296/2006), fosse stato modificato l’art. 73 del Dpr n. 917/86 (“Tuir”), attribuendo ai trust la soggettività tributaria.
Cionondimeno, i trust da un punto di vista “civilistico” non possono essere considerati come dei soggetti giuridici, risultando infatti un “insieme di beni e rapporti con effetto di segregazione patrimoniale, non rilevando ai fini della conformazione della soggettività giuridica l’attribuzione della soggettività tributaria”. La mancanza di personalità giuridica dunque, impedisce ai trust di essere ricompresi nel novero degli Enti del Terzo Settore, così come individuati dall’articolo 4, comma 1 del d.lgs. n. 117/2017 (“Codice del Terzo settore”), difettando uno degli elementi essenziali richiesti dalla prefata norma: ragion per cui risulta loro preclusa l’iscrizione al Runts.
Ciò posto, la circolare in questione non affronta una questione di particolare rilevanza pratica, ossia quale debba essere il “destino” dei trust già ad oggi dotati della qualifica di onlus. Infatti non potendosi essi iscrivere al runts per i motivi ora illustrati, sarebbe altresì inibita loro la possibilità di applicazione del regime transitorio di cui al comma 101 del Codice del terzo settore. Logica conseguenza sarebbe quella della immediata cessazione dell’attività istituzionale del trust, il quale andrebbe inesorabilmente incontro a:
(i) perdita della qualifica di onlus con contestuale cessazione delle agevolazioni riservate agli enti non profit, nonché
(ii) obbligo di devoluzione del patrimonio accumulato in costanza del regime agevolato.
Si tratta a ben vedere di conseguenze piuttosto deleterie per la sorte dei suddetti trust, ai quali il Ministero competente non sembra aver dato un giusto peso, adottando al contrario una interpretazione quanto mai restrittiva del suddetto art. 4 del Codice del Terzo settore.
Eppure la soluzione all’impasse sarebbe racchiusa proprio nel citato art. 4, con riferimento agli enti religiosi. Anche questi ultimi infatti, sono carenti di soggettività giuridica, purtuttavia il comma 3 dell’art. 4 consente loro di costituire una sezione dedicata all’attività di utilità sociale, mediante adozione di un regolamento (sotto forma di atto pubblico o scrittura privata autenticata) che recepisca le norme del Codice del Terzo settore e venga depositato nel runts. Per lo svolgimento di tali attività, la norma prevede altresì la costituzione di un patrimonio destinato e la tenuta di apposite scritture contabili.
Ebbene se ciò viene richiesto dalla norma, si denotano i punti di assonanza con la disciplina del trust: anche questo infatti, in buona sostanza consiste in un patrimonio destinato per il perseguimento di specifici fini solidaristici (pur con le diverse peculiarità tipiche dell’istituto di matrice anglo-sassone). Ragion per cui, le disposizioni previste per gli enti religiosi ben sarebbero potute essere estese ai trust onlus.
Alla luce di tale situazione, si auspica dunque che il Ministero o, meglio ancora il legislatore, riescano a “correggere il tiro” rispetto alle disposizioni della circolare in commento, al fine di non penalizzare un istituto – quello del charitable trust – che, fino ad oggi, anche per la sua duttilità e versatilità, ha permesso di perseguire ottimi risultati nell’ambito del no profit.