C’è una cosa importante – anzi due – che il private banking può fare, secondo il presidente di Aipb Andrea Ragaini. Guidare gli investitori e sostenere gli imprenditori. Dopo la preservazione del capitale, la parola chiave del XX Forum del Private Banking è “crescita”, nuova priorità dell’industria «per quattro motivi più uno» afferma Ragaini. Ossia: propensione al risparmio; flussi e stock; longevità; ricchezza reale in contrazione.
Ragaini, Aipb: «Ecco come il private banking può sostenere la crescita»
Quanto risparmiano gli italiani?
Oggi gli italiani risparmiano circa l’8 e mezzo per cento del proprio reddito (il biennio covid 2020-2021 ha visto un momentaneo raddoppio), e così sarà nei prossimi anni, dicono le previsioni. Negli anni ’80 il tasso di risparmio delle famiglie in Italia era del 28%. Ma il risparmio è ciò che residua del reddito dopo aver effettuato i consumi, che dal 2004 sono rimasti invariati. Ecco perché il primo motore per la crescita del private banking è la propensione al risparmio degli italiani.
I flussi sono più bassi degli stock
Agli inizi degli anni ’90 i flussi rappresentavano il 5% degli stock, mentre oggi poco più dell’1%. «Il messaggio è che, per pianificare il proprio futuro, i risparmiatori devono avere anche frutti dagli stock, non solo flussi: non sono più sufficienti. Allocare in maniera migliore gli stock aiuta ad avere maggiori frutti che aiutano a realizzare progetti di vita».
Longevità
Il terzo motivo per cui puntare alla crescita della ricchezza è l’allungamento della nostra vita attiva. «L’età media alla nascita è di 84 anni. Se poi si arriva a questa età, la vita media si allunga a 91 anni». Una vita attiva sempre più lunga necessita di una «gestione diversa della ricchezza prima di consegnarla agli eredi. Cambiano proprio le logiche finanziarie di investimento».
Ricchezza reale diminuita
La ricchezza nominale delle famiglie è cresciuta negli ultimi 20 anni da 8600 miliardi di euro a 11.900 miliardi. Ma è cresciuta molto meno rispetto a paesi europei come Spagna, Francia, Germania e agli Usa. Per di più, la ricchezza reale è scesa. «Inevitabilmente bisogna ripensare alla rotazione dell’attivo delle famiglie private migrandolo più sul concetto di crescita». Le famiglie italiane sono più povere.
Un punto di ottimismo
Il “motivo in più” per puntare sulla crescita è che l’Italia è uno dei paesi con più ricchezza in assoluto in rapporto al pil, che è l’ottavo al mondo: in Italia «siamo nel primo quintile per la ricchezza privata delle famiglie». È questa una grande risorsa, la ricchezza privata è un moltiplicatore di quella nazionale. Il private banking può dare nuova linfa alla generazione di reddito, che resta uno degli elementi di debolezza attuale.
Cosa c’è nella ricchezza degli italiani?
Come prevedibile, la maggior parte delle ricchezze italiane si compone di immobili (51% del patrimonio totale). La quota in netta diminuzione ma solo perché si sta svalutando. Il 16% è data da partecipazioni industriali; il 30% ricchezza finanziaria investibile. Il residuo 3% è allocato in ricchezza reale.
Il patrimonio immobiliare degli italiani: attenzione
Il valore della ricchezza in immobili nel nostro paese è sceso negli ultimi anni. La ragione è che gli immobili degli italiani sono vecchi e si sono svalutati. L’86% degli edifici è stato costruito prima del 1990; il 25% risale a prima del 1925. Inoltre, «il 94% del patrimonio immobiliare italiano si trova in zone a rischio frane e alluvioni» e «difficilmente nei prossimi anni crescerà di valore», a meno che non verrà efficientato, soprattutto in senso energetico.
Per questo motivo…
La crescita nei prossimi anni non potrà arrivare dal patrimonio immobiliare, ma da quella finanziaria. Che va (ben) gestita.
Il patrimonio finanziario degli italiani non deve restare parcheggiato in liquidità
Il 40% della ricchezza italiana è «parcheggiata» in liquidità. Il 45% è allocato in obbligazioni; solo il 15% in azioni. Solo lo 0,3% è investito nei mercati privati: «La ricchezza delle famiglie italiane in questo momento non è “montata” per la crescita di quella futura».
Andrea Ragaini, Aipb: «Come il private banking può guidare gli investitori»
Cosa può fare il private banking? Guidare gli investitori, grazie alla relazione fiduciaria fra banker e clienti. In realtà, come mostrano i dati Aipb, la ricchezza delle famiglie che il comparto private segue è già predisposta a una maggiore crescita, rispetto a quelle non private. Qualche numero: le famiglie servite dal private banking tengono il triplo della loro quota di ricchezza finanziaria in azioni rispetto alle altre famiglie (29% versus 10%). Detengono però anche più obbligazioni (58% vs 40%). La percentuale di ricchezza tenuta in liquidità crolla nelle famiglie pb (12% contro 50% delle altre). Infine, gli investimenti nei mercati privati sono otto volte superiori nei clienti pb (0,8% vs 0,1%).
È anche questa allocazione della ricchezza che «ha permesso al private banking di crescere oggi. Le proiezioni sul 2024 danno una raccolta netta a fine anno di 1242 miliardi di euro, per una crescita stellare del 12,8%». Tutto ciò che non è pb si ferma invece a +1,3%. «Ma non vogliamo fermarci qui», prosegue il presidente di Aipb Andrea Ragaini. Bisogna incrementare: protezione, diversificazione e come terzo aspetto gestire l’emotività dell’azionario durante le sue oscillazioni.
La costruzione della ricchezza non può però limitarsi all’aumento dell’esposizione azionaria. Il cliente private va accompagnato nei mercati non quotati. «Le strategie private devono essere inserite nei prodotti con rilevanza strategica alta. Serve una regolamentazione fiscale che aiuti gli investimenti privati. Serve almeno l’abbrivio».
Andrea Ragaini, Aipb: «Il private banking deve sostenere gli imprenditori»
Il 23% dei clienti pb sono imprenditori, e pesano per il 30% delle masse. L’84% di loro è alla guida di aziende con meno di 20 persone. Questa dimensionalità permette un dialogo diretto con l’imprenditore, sottolinea Ragaini, aspetto sostenuto anche dalla capillarità dei 17.000 private banker sul territorio, in continuo movimento. «I private banker incontrano gli imprenditori in media 14 volte all’anno, per almeno 11 anni consecutivi. È interessante notare che il 44% del tempo di questi incontri non è dedicato a parlare di finanza, ma di azienda. Ovvero di governance, di fonti di finanziamento, di sostenibilità. Tre ingredienti fondamentali per crescere, competere, scalare, aggregarsi, creare dimensioni di scala che possono aiutare il paese a crescere».