Ebbene. La risposta che ho dato, ovviamente semplificata, oggi non è più la stessa. Al punto che nel mondo finanziario la dinamica dell’investimento quasi non contempla più la dimensione dell’attesa e del tempo, quanto dell’impazienza. L’investitore si è trasformato da cassettista, abituato ad accettare il tempo come dimensione irrinunciabile della promessa insita nella sottoscrizione di un prodotto, a opportunista (nel significato di chi coglie opportunità) scalpitante, incapace di assecondare la durata che l’investimento richiede, anche se promettente nella sua immediatezza. In tal senso la finanza è diventata, specie nell’ultimo anno, più simile a uno spettacolo di emozioni immediate che assomiglia al trading (che azzardo!) non nella forma (ossia non nel senso che si scelga di fare trading) ma nella sostanza. Perché l’investitore sembra essersi spogliato della disponibilità a un piano a medio-lungo termine, rivestendosi sempre più della repentina compiacenza di risultati conseguiti quasi subito. Come fosse entrato nella nuova dimensione del “detto fatto” (cotto e mangiato non lo uso per rispetto al mondo in cui lavoro ma ci ho pensato!).
«Per la prima volta nella storia la finanza può salvare l’economia reale. È sempre successo il contrario. La finanza cresceva, cresceva, cresceva. E, poi, cadeva violentemente, producendo sconquassi nell’economia reale. Adesso, invece, sta accadendo l’opposto. È arrivata la pandemia. L’emergenza sanitaria ha bloccato i commerci e le produzioni. Il mondo si è fermato. E, ora, l’enorme liquidità accumulata può finanziare la grande evoluzione delle infrastrutture e i salti tecnologici delle industrie.
Da un lato, la finanza offre un panorama quasi istintivo di come la si vive, da un anno a questa parte, nei comportamenti reattivi e sempre meno riflessivi di investitori attenti a non perdere tempo dietro l’investimento “apparentemente errato” perché non esprime in velocità risultati appaganti a confronto con uno scenario di performance di tutt’altra natura. Dall’altro Ventura parla della dimensione della finanza come quella che finalmente potrà salvare l’economia reale. Quasi aprendo uno scenario più ragionevole, dotato di ragione e fede, più che ragione e sentimento per così dire. Uno scenario che, come specifica sempre nella stessa intervista, si manifesta capace di salvare l’economia perché ben rappresentato da due temi che nel tempo (ripeto, nel tempo), dispiegheranno sempre più il loro potenziale:
«Il digitale e la green economy sono passaggi fondamentali per determinare il nostro futuro».
È credibile e attendibile quanto dice l’esimio presidente della Borsa. Perché solo la dimensione del tempo fa vedere – penso valga per tutti gli ambiti – la verità delle cose.
Qui forse la perplessità è lecita, tanto quanto lo era la certezza della verità della visione di Ventura.
Sempre su Il Sole24 Ore il giorno prima era uscito un articolo dal titolo “Borsa, perché i titoli petroliferi stanno correndo molto di più di quelli green“. Si legge:
L’assalto ai titoli green, tema dominante nell’anno della pandemia, ha invece perso slancio. Da gennaio i vertiginosi rialzi che da più parti avevano sollevato il sospetto di una bolla finanziaria si sono interrotti, cedendo il passo a una fase di correzione con ribassi a doppia cifra percentuale.
…Il fenomeno potrebbe essere transitorio: una salutare correzione per un settore che aveva corso davvero troppo e in modo troppo indiscriminato, gonfiando le valutazioni di qualsiasi società, comprese piccole start up che non hanno ancora prodotto alcunché e aziende con bilanci in dissesto. Una situazione che ricorda molto da vicino l’esuberanza (finita male) per le Dot.com di inizio millennio.
I fondi ispirati a criteri Esg (ambiente, sociale e governance) l’anno scorso hanno attirato 350 miliardi di dollari, contro i 165 miliardi del 2019, stima Morningstar: troppi soldi, che si sono indirizzati verso un universo di imprese ancora ristretto.
Siamo alle solite. Anche il green, anche il sostenibile, e la sua sigla very cool ESG, sono rientrati nella modalità attualissima di trattare l’investimento: entusiasmo per la novità, anzi per l’attesa insita nella novità (si legge nell’articolo, “E la correzione dei titoli green in parte dipende anche dal fatto che molti investitori avevano comprato sull’attesa del maxi-piano di stimoli di Joe Biden fortemente orientato alla transizione energetica”, e ritorno repentino a “migliori consigli” (continua nell’articolo “per poi vendere sulla notizia della sua approvazione”).
Anche nel caso in cui si parli di un tema che invece ha, e deve avere, nella dimensione del tempo, la premessa ineludibile per potersi esprimere propriamente.
Come si fa a vedere la sostenibilità di un’azienda, il suo rispetto riguardo al clima, all’ambiente e alla governance, se non nel tempo? Ha senso dunque che vi sia stato questo “storno” importante nel 2021 di tutti quegli asset attinenti la green economy, a ridosso di mesi – sottolineo mesi e non anni – in cui si è solo iniziato, forse, ad accelerare un percorso che sarà in grado di far vedere i frutti a distanza di anni? No, non ha senso. Eppure c’è stato. A vantaggio di altri settori. E la canzone si ripete così, in finanza. Quella della compravendita dei titoli. Lontana, oserei dire, da quella visione della finanza che invece, questa sì vera e realistica, potrebbe, come nella visione di Ventura, salvare l’economia.
Alla prossima!