Dove eravamo rimasti? In un mondo di pandemie, guerre e scontri per l’egemonia mondiale, il Mediterraneo rimane al centro della prossima crisi che potrebbe coinvolgere l’Europa e l’Italia. In gioco ci sono la Libia, le basi militari sulla Sponda Sud e in Siria, molto gas, tanto petrolio e i progetti delle future pipeline. L’escalation del conflitto in Libia e la rivalità tra la Turchia e le monarchie del Golfo si incrociano direttamente con le dispute territoriali e la contesa sul gas tra Europa e Turchia, un contenzioso aspro che vede coinvolte grandi compagnie energetiche, dall’Eni alla Total, alle società americane.
Quello che succede nel Mediterraneo orientale non è una questione periferica per l’Europa. Se da un lato gli europei dovrebbero rimanere impegnati nel rispettare i principi fondamentali, dall’altro devono riconoscere il pericolo rappresentato da Ankara, storico membro della Nato, e dalla convergenza delle linee di conflitto mediorientali con le aree di conflitto europee. Al centro di queste tensioni c’è la disputa irrisolta di Cipro e l’antagonismo di vecchia data tra Turchia e Grecia, attorno al quale si sta schierando un fronte più ampio di forze antiturche. Queste controversie comprendono le guerre civili in Libia e in Siria e vedono coinvolte monarchie del Golfo come gli Emirati arabi uniti, la Russia, la stessa Francia senza contare alcune potenze regionali come l’Egitto, tutti attori schierati in Libia con il generale Khalifa Haftar.
La Libia è il più grande imbroglio della politica internazionale, creato nel 2011 con i raid di Francia, Usa e Gran Bretagna per abbattere Gheddafi. Pochi ormai anche da noi sanno chi sono gli amici e i nemici. L’Italia, per fare un esempio, sostiene Al Sarraj a Tripoli, dove abbiamo un coraggioso ambasciatore ma anche Khalifa Haftar, il generale della Cirenaica che appoggiamo indirettamente fornendo armi all’Egitto, uno dei suoi principali alleati insieme a Russia ed Emirati.
L’Eni hai suoi i maggiori interessi in Tripolitania con il termi- nale di Mellitah e il gasdotto Greenstream, quindi ha ottimi rapporti con i clan locali. Ma allo stesso tempo il capo dell’Eni, De Scalzi, ha buonissime relazioni con il principe degli Emirati Bin Zayed, uno dei maggiori sponsor e finanziatori di Haftar. Formidabili per ambiguità sono i rapporti con la Turchia di Erdogan che l’Italia e l’Eni devono maneggiare con cura: An- kara militarmente comanda a Tripoli e ha ottenuto da Sarraj una dichiarazione sul Mediterraneo orientale che potrebbe incidere negativamente sugli interessi dell’Eni a Cipro.
L’Italia, che si è appoggiata ai servizi turchi anche per la liberazione di Silvia Romano in Somalia, è talmente “accorta” che si è sfilata da tutte le più recenti dichiarazioni di condanna delle mire turche sui giacimenti offshore di gas e petrolio di Cipro, documenti firmati da tutti gli altri stati interessati. Insomma siamo diventati le mosche cocchiere di Erdogan che a Tripoli protegge i Fratelli Musulmani e usa i jihadisti siriani per combattere contro Haftar. Ma dobbiamo pure stare attenti al nostro contingente militare di guardia all’ospedale da campo di Misurata dove vengono curati pure i jihadisti filo-Sarraj non solo le truppe “regolari” libiche.
Siria e Libia sono da tempo guerre dei vasi comunicanti. Se Erdogan manda i suoi jihadisti amici di Al Qaida da Idlib in Siria a Tripoli di Libia, Haftar usa i mercenari reclutati dai russi e da Assad. E così, tanto per compensare la situazione, abbiamo venduto navi Fincantieri ed elicotteri d’attacco Agusta di Leonardo al Cairo che protegge il generale. Una mossa rivelatrice del groviglio di interessi, tra forniture belliche e gas dell’Eni, che ci lega al generale Al Sisi, colui che si rifiuta da anni di dare indicazioni sui torturatori e gli assassini di Giulio Regeni.
Per la verità in Europa non siamo gli unici a inviare messaggi contraddittori. La Germania non è meno ambigua dell’Italia e della Francia che con Grecia, Cipro ed Egitto, quando serve, appoggia Haftar in funzione anti-turca nel Mediterraneo orientale.
Nonostante abbia aderito all’embargo sulle armi dando il suo ok alla missione navale europea Irini e si sia fatto pro- motore lo scorso gennaio a Berlino del vertice internazionale sulla Libia, il governo tedesco ha ammesso che fino al mag- gio scorso ha venduto armi ai paesi coinvolti nella guerra in Libia per un valore di 331 milioni di dollari.
Vendite bipartisan per non scontentare nessuno: sia all’Egitto (308,2 milioni di euro) e ai suoi alleati emiratini (7,7 milioni) che ai loro nemici turchi (15,1 milioni). Al di là dell’affettato pacifismo di maniera dei tedeschi la barbarie libica è anche “made in Europe”, non solo turca, russa e araba. La Germania della signora Merkel aveva scippato all’Italia la conferenza convocata a Berlino proprio per attuare l’embargo: insomma i tedeschi sono persino più ipocriti e inaffidabili di noi.
L’imbroglio è cosi intricato che Russia e Turchia rilasciano dichiarazioni surreali, invocando un cessate il fuoco, ma entrambe non sanno se gli conviene: magari Erdogan ce la fa a spingere Sarraj oltre la Tripolitania, o forse il declinante Haftar riesce con i Mig russi a distruggere i droni turchi e a stringere di nuovo d’assedio Tripoli.
In poche parole gli europei con gli americani hanno prima provocato la caduta di Gheddafi e poi si sono fatti trascinare in un conflitto che oppone la Turchia agli Emirati, alla Russia alle monarchie del Golfo e all’Egitto. Non male come nodo da sciogliere dopo il coronavirus.