La Commissione, discostandosi dall’orientamento affermatosi nel 2019, ha sostenuto la qualifica delle polizze “unit-linked” alla stregua di contratti assicurativi e non di strumenti finanziari.
Il caso di specie riguardava un accertamento con cui l’Agenzia delle Entrate contestava l’omessa esposizione nel quadro RW della dichiarazione dei redditi delle attività finanziarie estere nelle quali era stato investito il premio pagato dal contraente in relazione ad un prodotto assicurativo vita sottoscritto con una società lussemburghese operante in Italia in regime di libera prestazione di servizi, nonché l’omesso versamento dei redditi di capitale prodotti da tali attività finanziarie. L’Agenzia delle Entrate asseriva, infatti, che la polizza fosse equiparabile ad uno strumento finanziario – da cui derivano redditi di capitale da assoggettare a tassazione anno per anno – data l’assenza della garanzia circa la restituzione del capitale e del cosiddetto «rischio demografico», elementi ritenuti incompatibili con la natura assicurativa del prodotto.
Di contro, il contribuente sosteneva che le polizze “unit-linked” rientrassero a pieno titolo nella categoria dei contratti assicurativi, anche in considerazione del regime regolamentare alle stesse applicabile in ambito sia nazionale che comunitario.
- A livello nazionale, infatti, il Codice delle Assicurazioni Private (art. 2 del decreto legislativo 7 settembre 2005, n. 209) annovera tra i contratti di assicurazione sulla vita anche quelli la cui esecuzione è direttamente collegata al valore delle quote dei fondi comuni di investimento, dei fondi interni o degli indici o di altri valori finanziari in cui è investito il premi pagato dal contraente. Gli aspetti distintivi delle polizze assicurative “unit-linked”, oltre ovviamente agli elementi tipici delle polizze vita (ex art. 1882 c.c.), sono proprio quelli relativi alla gestione dei premi versati alle imprese di assicurazione e comprendono: la selezione in base al profilo di rischio del contraente tra diversi indirizzi di gestione, nonché la possibilità di modificare il peso degli indirizzi di gestione (c.d. “switch”), previa approvazione della compagnia, che ne valuta l’adeguatezza in funzione del profilo di rischio.
- A livello europeo, la Direttiva 2016/97/UE conferma che anche i contratti di assicurazione c.d. unit-linked emessi da imprese di assicurazione che operano nel ramo III sono contratti di assicurazione sulla vita a prescindere dalla sussistenza o meno di garanzie di copertura del rischio finanziario. Sul tema anche la Corte di Giustizia dell’UE ha confermato l’assoluta legittimità della traslazione del rischio finanziario dalla compagnia di assicurazioni al contraente e la perfetta qualificazione del contratto come assicurativo anche laddove non sia prevista alcuna garanzia di restituzione o di rendimento minimo.
In sintesi, affinché le polizze “unit-linked” rientrino nella nozione di contratto assicurativo, sono necessari (e sufficienti):
i) il pagamento di un premio da parte dell’assicurato;
ii) la prestazione dell’assicuratore in caso di decesso del primo o di altro evento previsto.
Non è invece necessario, a differenza di quanto sostenuto dalla giurisprudenza nazionale del 2019, valutare la ripartizione del rischio finanziario.
Pertanto, la Ctr Lombardia, conformandosi all’orientamento espresso dalla CGUE, ha aggiunto un ulteriore tassello all’annosa diatriba nazionale inerente la qualificazione delle polizze “unit-linked” ed il regime fiscale alle stesse applicabile.
Invero, a parere della Commissione le seguenti caratteristiche – tipiche dei contratti “unit-linked” – non costituiscono un ostacolo al riconoscimento della natura assicurativa delle polizze in oggetto anche ai fini fiscali:
- mancanza di certezza sull’importo del capitale rimborsato;
- assenza di premi costanti pagati dall’assicurato;
- mancata assunzione del rischio demografico;
- selezione dei vari approcci di gestione in base al profilo di rischio del contraente;
- modifica del peso degli indirizzi di gestione (“switch” tra fondi sottostanti).
Si ricorda, infatti, che a differenza degli investimenti in altri strumenti finanziari (azioni, obbligazioni, quote di fondi di investimento), per i quali è prevista la tassazione dei redditi da questi realizzati in base al principio di cassa e l’impossibilità di compensare redditi di capitale e minusvalenze da questi realizzate, i contratti di assicurazione beneficiano di un trattamento di particolare favore.
Il regime fiscale applicabile ai contratti di assicurazione, infatti, consente di differire la tassazione dei proventi generati dalla polizza (rectius: dagli investimenti ad essa sottostanti) al momento del riscatto ovvero del pagamento della prestazione caso vita o caso morte (in quest’ultimo caso con l’ulteriore beneficio dell’esenzione sulla quota di prestazione afferente la copertura del rischio demografico), consente di compensare i redditi di capitale e le minusvalenze generate dagli strumenti finanziari in cui è investito il premio, nonché prevede la possibilità di applicare in ogni caso l’imposta sostitutiva del 26% all’intero reddito di capitale percepito indipendentemente dalla composizione del sottostante (che potrebbe includere anche strumenti finanziari soggetti ad aliquota marginale Irpef).