- In Italia il 60% dei cittadini e delle cittadine ammette di non aver sottoscritto alcuna forma di previdenza complementare
- Il 22% dichiara di aver lasciato il Tfr in azienda, mentre il 15% di averlo incassato e destinato a progetti importanti. Solo il 18% lo ha destinato a un fondo pensione
- Boeri (Università Bocconi): “Necessarie politiche dell’immigrazione realistiche, in cui le persone siano messe subito nelle condizioni di versare i contributi”
In Italia l’81% dei cittadini e delle cittadine dichiara di aver pensato alla pensione e il 78% ritiene sia importante investire sul proprio futuro previdenziale. Eppure, il 60% ammette di non aver sottoscritto alcuna forma di previdenza complementare. Sono solo alcuni dei risultati di una nuova ricerca condotta nel mese di febbraio da Eumetra e Research Dogma per Anima Sgr su un campione di oltre 1.000 adulti bancarizzati, presentata in occasione di un workshop annuale organizzato dalla società di gestione nella cornice del Teatro Lirico Giorgio Gaber di Milano. Un’occasione per fare il punto su consapevolezza, orientamenti e percezioni degli italiani rispetto alla previdenza integrativa, ma anche per fornire qualche strumento ai consulenti finanziari in sala per discuterne con i propri clienti.
Pensione di scorta: quanto ne sanno gli italiani
Tornando alla ricerca, solo il 21% degli intervistati e delle intervistate dichiara di aver attivato delle soluzioni in tal senso. Ma se si chiede loro esplicitamente se hanno già sottoscritto qualche forma di previdenza complementare, il 40% cita uno o più strumenti, come evidenziato nel grafico sottostante. “Risulta evidente come ci sia ancora molto lavoro da fare sul fronte dell’autoconsapevolezza”, dichiara Matteo Tagliaferri, responsabile comunicazione & marketing di Anima. Interrogati sul Trattamento di fine rapporto (Tfr), il 22% afferma di tenerlo in azienda, il 18% di averlo destinato al fondo pensione e il 15% di averlo incassato e destinato a progetti importanti. Se poi si chiede perché hanno lasciato il Tfr in azienda, i motivi più citati sono il fatto che sia percepito come più liquido (41%) e come più sicuro (28%) ma c’è anche un 17% che dichiara di non sapere di poterlo investire.

“Questa confusione si collega un po’ al fatto che non c’è ancora un chiaro soggetto che si è fatto carico di diventare un referente sul tema previdenziale”, sostiene Tagliaferri. Gli intervistati affermano di fatto di aver sentito parlare di previdenza integrativa dal proprio consulente finanziario (21%), dal proprio assicuratore (13%), da un Caf, sindacato o patronato (8%), da un consulente di cui non sono clienti (7%), dall’ufficio Hr (7%) o da un assicuratore di cui non sono clienti (6%). “Si incrociano diverse personalità e figure”, conferma Tagliaferri. “A maggior ragione, secondo noi c’è molto spazio per un lavoro di consulenza su questo tema, non essendo presidiato da nessun altro”.
I vantaggi della previdenza complementare
Quanto ai vantaggi della previdenza complementare, il 44% cita la certezza di una rendita integrativa, il 34% il vantaggio fiscale immediato e il 27% la flessibilità garantita dal piano previdenziale. Alla domanda “se ha investito o decidesse di investire in un fondo pensione, quale linea ha scelto o sceglierebbe”, il 29% degli intervistati indica la linea bilanciata, il 21% la linea garantita o la più prudente, il 17% la linea prevalentemente azionaria e l’11% la linea azionaria. “Infine, abbiamo stimato quanto occorrerebbe investire ogni mese in una forma di previdenza integrativa per ottenere un aumento della pensione di 1.000 euro al mese”, continua Tagliaferri.
Pensione: quanto investire per una rendita di 1.000 euro
Stando alle simulazioni elaborate da Eumetra e Dogma per Anima Sgr, un individuo con un’età compresa tra 18 e 34 anni dovrebbe investire mediamente 330 euro al mese per ottenere una rendita integrativa mensile di 1.000 euro al momento della pensione. Per i 35-44enni si parlerebbe di 470 euro, mentre per i 45-54enni l’esborso salirebbe a 780 euro. “Si tratta di medie approssimative”, precisa Tagliaferri. “Ma il dato sorprendente è che, anche se parliamo di cifre non banali se si pensa al reddito medio degli italiani, c’è una disponibilità rilevante a prendere in considerazione un investimento di questo tipo”, osserva l’esperto. L’analisi mostra infatti come il 72% dei 18-34 anni sarebbe disposto a investire mediamente 286 euro al mese, una percentuale che scende al 55% (con una media di 352 euro al mese) per i 35-44enni e al 50% (con una media di 475 euro al mese) per i 45-54enni.

“Se la previdenza integrativa non prende piede in Italia, avremo un domani un problema di adeguatezza delle pensioni”, avverte Tito Boeri, direttore del dipartimento di economia dell’Università Bocconi. “Il problema di fondo è legato all’andamento del tasso di fecondità e agli ingressi nel mercato del lavoro. Sono necessarie politiche dell’immigrazione realistiche, in cui le persone siano messe subito nelle condizioni di versare i contributi”, sostiene Boeri. Quanto invece alla previdenza integrativa, bisogna agire su più livelli, secondo l’esperto. “Gli incentivi fiscali sono importanti, ma occorre creare anche più concorrenza nel mercato delle rendite. Credo che l’Inps possa avere un proprio ruolo nel fissare dei minimi”, suggerisce Boeri.
Il ruolo delle polizze Long term care
“Abbiamo un problema di demografia, un problema di redditi e un’aspettativa di vita in aumento. Tutti fattori che rendono necessario investire in un fondo pensione”, incalza Alberto Brambilla, presidente del centro studi e ricerche di Itinerari Previdenziali. Per Sergio Corbello, presidente di Assoprevidenza, un ruolo fondamentale lo hanno anche le coperture assicurative. “Da 30 anni la nostra associazione sostiene la necessità di una polizza Long term care obbligatoria, che è il ponte tra il fondo pensione e una buona vecchiaia”, dichiara. “Credo che i consulenti finanziari abbiano il dovere di evidenziare la necessità di sottoscrivere strumenti di questo tipo”, conclude Corbello.