I Paesi con debito elevato potranno negoziare un piano di rientro personalizzato, utilizzando come parametro la spesa pubblica al netto degli interessi come parametro di riferimento – ritenuto meno pro-ciclico e più efficace del deficit strutturale usato finora
Allo stesso tempo, la Commissione controllerà il rispetto del piano quadriennale di aggiustamento e potrà sospendere l’erogazione dei fondi europei, inclusi quelli del Pnrr, in caso di mancato rispetto del piano
Il primo passo ufficiale per avviare la grande partita della riforma del Patto di Stabilità è fatto: la Commissione europea ha presentato i suoi “orientamenti”, che costituiranno la base per le future discussioni con gli Stati membri. I problemi delle regole fiscali europee, i cosiddetti vincoli di bilancio, sono sempre stati numerosi: regole troppo complesse, difficili da rispettare e far rispettare. Con l’arrivo della covid-19 e l’aumento dei debiti pubblici ovunque in Europa la necessità di ripristinare un Patto di stabilità aggiornato è aumentata di molto, a detta di numerosi policy maker, fra cui la presidente della Bce, Christine Lagarde.
Con la proposta avanzata il 9 novembre dalla Commissione cambiano i parametri alla base della sorveglianza di Bruxelles, in senso più favorevole ai Paesi indebitati, ma aumenteranno i controlli – secondo il modello utilizzato per il Recovery fund: chi sgarra, rischia di perdere l’accesso ai fondi europei.
Riforma del Patto di Stabilità cosa cambia
Del vecchio Patto di Stabilità vengono abbandonate le regole mai rispettate e mai sanzionate: in primo luogo, la riduzione programmata del debito eccedente il 60% sul Pil di un ventesimo all’anno. L’analisi, inoltre, non si baserà più sul deficit strutturale di bilancio (fra 0% e -0,5%), un concetto di per sé difficile da spiegare, bensì sulla spesa netta primaria.
Fissare un limite alla spesa pubblica, al netto degli interessi per onorare il debito, slega dall’obiettivo concordato l’andamento congiunturale dell’economia. In parole, semplici dovrebbe essere una regola che consente al governo nazionale di spendere anche quando il Pil scende in modo inaspettato, mantenendo intatta la sua possibilità di sostenere l’economia. Al contrario, se la crescita si rivela migliore del previsto il tetto di spesa rimane sempre quello, esercitando così un freno in tempi di “vacche grasse”.
Al contrario, fissare l’analisi sul deficit (ancorché strutturale, quindi, in teoria depurato dagli effetti del ciclo) di fatto rendeva le regole troppo dure in tempi difficili e troppo morbide nelle fasi positive, con il risultato di non ottenere un soddisfacente equilibrio fra riduzione del debito e crescita. Non solo: il fatto che il parametro sulla spesa escluda la componente legata agli interessi isola il focus del controllo da parte di Bruxelles solo “alla spesa pubblica che è sotto il controllo del governo” (gli interessi sul debito, come noto, dipendono da logiche di mercato solo in parte influenzate dalle decisioni nazionali).
Non cambia, però, il limite del trattato di Maastricht sul deficit: gli stati, non potranno avere un indebitamento netto superiore al 3% e permarrà l’obiettivo di rientrare a un debito al 60% sul Pil. Del resto, riformare un trattato fondativo dell’Ue richiederebbe un iter giuridico particolarmente difficile, mentre l’obiettivo è ripristinare il Patto di Stabilità modificato già nel 2024.
Le procedure di controllo
La Commissione, ammettendo di essersi ispirata al modello del Recovery, ha proposto di concordare con i governi un pacchetto personalizzato di durata quadriennale per la riduzione del debito e per le riforme. La procedura si delinea in quattro punti:
- La Commissione fa il primo passo proponendo un suo percorso di riferimento per la riduzione del debito di orizzonte quadriennale “basato sulla sua metodologia relativa alla sostenibilità del debito”. Qui c’è già un grande cambiamento rispetto alle regole precedenti, che fissavano parametri comuni e non altrettanto personalizzati per ciascuno Stato membro. Questo dovrebbe garantire, anche per i Paesi più indebitati, obiettivi “plausibili” – pur nel rispetto del tetto al 3% sul deficit.
- Sulla base di questo percorso di rientro, il governo nazionale sarà chiamato a presentare un piano di riforme e investimenti pubblici coerente con il raggiungimento dei target avanzati dalla Commissione. Il governo potrà estendere fino a tre anni il raggiungimento degli obiettivi, a patto di presentare riforme “coerenti con le priorità comuni Ue”, come la transizione verde. (Sarà interessante capire come questi piani potranno essere riveduti al cambiare dei governi nazionali)
- La Commissione, nel terzo step, valuterà i piani del governo e li approverà se il debito “sarà previsto in calo o si manterrà su livelli prudenti”. Anche il Consiglio Ue, ovvero l’organo legislativo espressione di tutti i governi europei, dovrà dare il suo avallo (come avviene con il Pnrr).
- Il rispetto degli accordi fra Governo e Ue verrà “continuamente monitorato” dalla Commissione europea, che valuterà ogni anno un rapporto nazionale sui risultati raggiunti. E potrà procedere, nel caso di scostamenti dal piano, con le sanzioni.
Il capitolo sanzionatorio
Per rendere credibili regole fin qui più flessibili per gli stati particolamente indebitati, che non dovranno più rientare in parametri stringenti che rischiano di essere pro-ciclici, la Commissione ha proposto di rendere più forti le sanzioni finanziarie e le ricadute negative sulla reputazione dei governi che non rispettano gli accordi su rientro del debito e riforme.
In particolare “i finanziamenti comunitari potrebbero essere sospesi quando gli Stati membri non adottano misure efficaci per ridurre i deficit eccessivi”. Questa arma risulta chiaramente più minacciosa per i Paesi che sono grandi beneficiari di finanziamenti europei, come l’Italia, e questi avrebbero più incentivi a rispettare le regole.
“I tempi cambiano, i trattati sono stati firmati molto tempo fa”, ha commentato il commissario agli Affari Economici, Paolo Gentiloni, “è cambiata la situazione in cui queste regole sono state decise. Cambiamenti sono avvenuti in questi anni e decenni. Nel complesso, parte delle nostre regole hanno una buona funzione come la regola del 3% che è stata utile per segnalare ai governi che il denaro non è gratis”, non altrettanto per la regola del 60% che “forse non ha avuto successo perché è diventata sempre più irrealistica. Quando c’è un percorso irrealistico” di rientro dal debito, “alla fine è come non avere alcun Patto di stabilità”.