Che cos’hanno in comune Maria Antonietta e Cristiano Ronaldo? Entrambi, probabilmente, hanno avuto una creazione della famiglia Mellerio esposta nel proprio salotto. Originaria di un piccolo paese della Valle Vigezzo in Ossola, Mellerio è ritenuta, con oltre 400 anni di storia, l’impresa familiare più longeva d’Europa. Gioiellieri di svariate casate reali, in epoca più recente la Mellerio ha ampliato il perimetro delle proprie creazioni. Fra queste, anche le coppe del Roland Garros e, per l’appunto, il Pallone d’oro. Olivier Mellerio, che con il suo fratello François ha guidato l’azienda per 40 anni, fino al 2015, crede che per un’azienda giunta alla 14esima generazione la più grande capacità sia stata “l’omeostasi, ossia mantenere integro il proprio essere nonostante tutte le difficoltà”. Una considerazione che acquisisce una particolare importanza, se si pensa che la Mellerio è sopravvissuta alla Rivoluzione francese, oltre che a due Guerre mondiali e alla globalizzazione, mantenendo alla guida sempre la stessa famiglia.
Con un percorso secolare alle spalle, viene da chiedersi quale sia la formula segreta per mantenere un’impresa nelle mani della stessa famiglia per generazioni…
Non so se esista una formula segreta: ogni famiglia e ogni azienda fa storia a sé. Lo stemma della famiglia Mellerio mostra la catena montuosa del Monte Rosa: quindi si può vedere dall’alto tutta la valle. Abbiamo questa visione a lungo termine: pensiamo in termini di generazioni. Nel nostro caso, credo ci unisca un forte attaccamento alle radici e all’intera famiglia. Durante l’estate, i cugini tornano al nostro paese natale, Craveggia in Ossola: questo è un luogo non solo di rifugio, ma anche di risorsa, per ritrovare l’ispirazione e poi tornare nel mondo. Anche la forte fede, di religione cattolica, penso sia uno dei semi che legano la famiglia da generazioni. La gioielleria, poi, è un’arte, non è solo artigianato. È anche creatività e innovazione e penso che i Mellerio siano stati in grado di combinare questi elementi, la parte sinistra del cervello e la parte destra.
Quando ha preso le redini dell’azienda, trovandosi nella posizione del giovane con una grande storia imprenditoriale da onorare, quali mosse ha intrapreso?
In quella fase, a metà anni Settanta, c’era bisogno di internazionalizzazione e questo è il motivo per cui ho deciso di espanderci in Giappone, un mercato che si stava aprendo in quel momento e che poi ha fatto il successo di tutto il lusso francese in quel periodo. Attraverso questa internazionalizzazione, abbiamo deciso anche di aprirci a una nuova clientela. Inoltre, abbiamo iniziato in quegli anni ad avviare l’attività negli orologi.
Lei ha studiato investment banking, in alcune delle migliori università francesi e americane. Questa formazione finanziaria è stata parte dei suoi punti di forza nel guidare l’azienda?
In una realtà piccola come la nostra abbiamo bisogno di capitale, se vogliamo attrarre i migliori talenti. Una chiave era capire dove trovare il capitale, in un modo che non si sarebbe rivelato dannoso per il controllo della famiglia. Ho studiato il private equity, ma ho realizzato che questa non era per la nostra azienda la migliore soluzione per raccogliere capitale. Quindi penso che questa conoscenza del settore finanziario mi abbia aiutato a non prendere la decisione sbagliata. Allo stesso tempo, penso davvero che per le aziende che vogliono crescere e dove il controllo familiare non è in gioco, allora il private equity possa essere una soluzione.
Essere un’azienda familiare viene spesso visto come un ostacolo alla crescita…
Abbiamo mantenuto l’azienda a una dimensione umana, quella familiare: non volevamo crescere più velocemente di quanto non potessimo gestire. Ci fu questo tipo di saggezza. Ho visto tutti i nostri concorrenti crescere troppo velocemente a un certo punto della loro storia. Questo è stato dannoso per il controllo familiare. Nell’arte e nell’artigianato, la dimensione non è un problema. Non puoi combinare i talenti, ma puoi combinare le finanze. Penso che l’innovazione sia davvero la chiave: se non sei grande, allora devi essere innovativo. E, contrariamente a quanto si pensa, questo vale anche nella gioielleria.
Il nanismo delle imprese, però, in Italia finisce spesso sotto accusa.
Non credo che in Italia le aziende familiari stiano soffrendo: penso che tutto dipenda dal segmento di mercato, dalla sua capacità di crescere e così via. Ma penso che siate molto fortunati in Italia ad avere 8.000 medie imprese. Non abbiamo un equivalente in Francia, perché molte di queste aziende familiari sono state vendute prima di crescere. Quindi penso che abbiate un grande asset in Italia: non perdetelo.
Come preparare gli eredi per continuare l’attività in azienda con successo?
La chiave è l’istruzione. Devi istruire i tuoi eredi in una forma adatta al mondo in cui vivranno. Per esempio, nella nostra famiglia, abbiamo avuto sia un’educazione molto alta, classica, ma anche un’istruzione artistica, della mente e della mano. Mio nonno, per esempio, era allo stesso tempo titolare di un dottorato in legge, ma è stato anche “meileur ouvrier de France”, un alto esperto di artigianato, nonché vincitore della borsa di studio Prix de Rome per il disegno. Quindi aveva questo tipo di educazione totale che gli ha permesso, in seguito, di guidare l’azienda con una visione del mondo estremamente ampia. Poi gli eredi possono decidere se vogliono lavorare nell’azienda e se vogliono lavorare fuori dall’azienda. Il problema arriva poi durante il processo di successione. Il punto è assicurarsi di concentrare il capitale nelle mani di coloro che creano davvero valore per l’azienda. Ma, nel nostro caso, è stato dato agli altri anche un modo per mantenere un coinvolgimento nella veste di ambasciatori dell’azienda familiare.