Principali ipotesi di irregolarità
Preliminarmente, si ricorda che la detenzione all’estero di investimenti e attività finanziarie, da parte di soggetti fiscalmente residenti in Italia, può assumere rilievo ai fini di diversi ambiti normativi, spesso tra di loro correlati.
- In primo luogo, viene in rilievo la disciplina sul monitoraggio fiscale, recata dal decreto-legge n. 167 del 1990.
La disciplina in commento, in particolare, prevede che le persone fisiche, gli enti non commerciali e le società semplici ed equiparate ex articolo 5 del Tuir, residenti in Italia, che nel periodo d’imposta abbiano detenuto all’estero investimenti o attività finanziarie suscettibili di produrre redditi imponibili in Italia, indichino questi stessi asset nella propria dichiarazione dei redditi (mediante compilazione del cosiddetto “quadro Rw”), assoggettandoli conseguentemente a Ivafe (0,20% del valore delle attività finanziarie estere) e Ivie (0,76% del valore degli immobili esteri). Identico obbligo è previsto laddove i predetti soggetti, pur non detenendo direttamente i suddetti asset, ne siano comunque gli “effettivi beneficiari” (beneficial owner).
La violazione dell’obbligo in commento è punita con la sanzione amministrativa pecuniaria dal 3 al 15% dell’ammontare degli importi non dichiarati, che è raddoppiata (andando quindi dal 6 al 30%) laddove l’illegittima detenzione avvenga in Stati o territori a regime fiscale privilegiato. Il mancato versamento dell’Ivafe e dell’Ivie, inoltre, è punito con la sanzione amministrativa pecuniaria dal 90 al 180% della maggiore imposta accertata.
- In secondo luogo, la detenzione (o la titolarità effettiva) di consistenze all’estero potrebbe determinare ulteriori obblighi dichiarativi, laddove i medesimi asset si qualifichino come redditi imponibili in Italia o comunque abbiano prodotto redditi imponibili in Italia (esempio: interessi e dividendi), tenendo presente che per i soggetti fiscalmente residenti in Italia vige il principio della tassazione dei redditi ovunque prodotti (cosiddetta worldwide income taxation).In proposito, limitando l’analisi all’ambito delle imposte dirette, si ricorda che le violazioni di omessa e infedele dichiarazione sono punite, rispettivamente, con la sanzione amministrativa pecuniaria dal 120 al 240% (omessa dichiarazione) e dal 90 al 180% (infedele dichiarazione) della maggiore imposta accertata; sanzione che inoltre è aumentata di un terzo laddove la violazione stessa si riferisca a redditi (non dichiarati) di fonte estera. Inoltre, si segnala che l’articolo 12 del decreto-legge n. 78 del 2009 dispone che, salvo prova contraria, gli investimenti e le attività di natura finanziaria detenuti negli Stati o territori a regime fiscale privilegiato, in violazione degli obblighi sul monitoraggio fiscale, si presumono costituiti mediante redditi sottratti a tassazione. In tal caso, le sanzioni previste dall’articolo 1 del decreto legislativo n. 471 del 1997 (quali sopra ricordate) sono addirittura raddoppiate.
- Per finire, occorre ricordare che, al superamento di determinate soglie di imposta evasa, la mancata dichiarazione di redditi imponibili può assurgere a presupposto oggettivo dei reati di «dichiarazione infedele» (100mila euro per singola imposta) e di «omessa dichiarazione» (50mila euro per singola imposta), rispettivamente previsti dagli articoli 4 e 5 del decreto legislativo n. 74 del 2000.
I rimedi apprestati dall’ordinamento
Venute meno le misure di carattere straordinario che, nel recente passato, hanno consentito l’emersione delle consistenze illegittimamente detenute all’estero, con riduzione delle sanzioni amministrative applicabili e non punibilità delle principali ipotesi di reati fiscali (cfr. la legge n. 186 del 2014 sulla cosiddetta Voluntary disclosure e le successive riedizioni di detta misura), ad oggi, l’unico rimedio che l’ordinamento offre ai contribuenti che volessero rimuovere una delle sopra richiamate situazioni di irregolarità è quello del ravvedimento operoso, che, tuttavia esplica i propri effetti con riferimento al solo ambito amministrativo (salvo quanto di seguito precisato per l’ambito penale).
Più in dettaglio, infatti, si ricorda che l’istituto del ravvedimento operoso, disciplinato dall’articolo 13 del decreto legislativo n. 472 del 1997, consente, al ricorrere di determinate condizioni, di “rimuovere” la violazione commessa, con effetto ex tunc.
Le condizioni previste dalla citata disposizione sono, essenzialmente, le seguenti:
- (per i tributi amministrati dall’Agenzia delle entrate, che qui interessano) il fatto che la violazione non sia stata già contestata (nell’ambito di un atto impositivo, come ad esempio un avviso di accertamento, o anche solo mediante avviso bonario), sussistendo altrimenti una causa ostativa al ravvedimento;
- l’integrale versamento dell’imposta dovuta, maggiorata degli interessi medio tempore maturati;
- il versamento della sanzione pecuniaria amministrativa prevista per la violazione commessa, opportunamente ridotta (da un decimo del minimo a un quinto del minimo, in funzione del momento in cui interviene il ravvedimento).
L’articolo 13 del decreto legislativo n. 74 del 2000, inoltre, dispone che i reati connessi alla dichiarazione non sono punibili se i debiti tributari, comprese sanzioni e interessi, sono stati estinti mediante integrale pagamento degli importi dovuti, a seguito del ravvedimento operoso o della presentazione della dichiarazione omessa entro il termine di presentazione della dichiarazione relativa al periodo d’imposta successivo, sempreché il ravvedimento o la presentazione siano intervenuti prima che l’autore del reato abbia avuto formale conoscenza di accessi, ispezioni, verifiche o dell’inizio di qualunque attività di accertamento amministrativo o di procedimenti penali. Ricorrendone le (stringenti) condizioni appena menzionate, pertanto, il ravvedimento operoso può fungere anche da «causa di non punibilità» del reato. Al di fuori di dette condizioni, il pagamento del tributo determina invece una circostanza attenuante del reato.
La riduzione della sanzione per manifesta sproporzione della stessa
Va infine menzionata una prassi degli Uffici, che – seppure in taluni limitati casi – ha visto riconoscere al contribuente il beneficio del dimezzamento della sanzione amministrativa altrimenti applicabile.
Trattasi, in particolare, della prassi che si rifà alla circolare dell’Agenzia delle entrate 38/E/2013 e al chiarimento ivi contenuto secondo cui alle sanzioni previste per le violazioni riguardanti gli obblighi di compilazione del quadro Rw, in quanto aventi natura tributaria, si rendono applicabili i principi generali previsti dal decreto legislativo n. 472 del 1997, tra i quali il potere dell’Ufficio di disporre la riduzione delle sanzioni fino alla metà del minimo qualora ricorrano «eccezionali circostanze» che rendono manifesta la sproporzione tra l’entità del tributo cui la violazione si riferisce e la sanzione (articolo 7 del citato decreto).
La soluzione da ultimo ricordata, ancorché basata sull’esercizio di una discrezionalità amministrativa dell’Agenzia delle entrate e quindi più complessa nella relativa attuazione, offre tuttavia la possibilità di aprire un’interlocuzione con l’Amministrazione finanziaria e costituisce quindi un’opportunità da valutare con estrema attenzione laddove, per qualsivoglia, il contribuente si trovi (ancora o di nuovo) in una posizione di particolare delicatezza.