Gellify ha pubblicato uno studio che indaga il mondo del Corporate Venturing, in collaborazione con Accenture Italia, Gianni & Origoni, Kaspersky Innovation Hub e Studio Pirola Pennuto Zei & Associati. Il report è stato redatto da Pedro Irujo, managing director di Gellify Iberia, in collaborazione con Amanda Whitmore, e con i contributi di Rebecca Mini e Federico Collarin
Nei risultati ottenuti è rappresentata anche l’Italia attraverso il contributo di cio e heads of investment italiani provenienti da diversi settori, tra cui quello chimico-farmaceutico (Gruppo Sapio), quello assicurativo con (Reale Mutua) e del retail con (Camst International)
Il 78% delle aziende coinvolte nella ricerca ha un’esperienza con un’unità di business di venturing che va dai 2 ai 5 anni; il 14% ne ha avviata da 1 anno o meno e il 7% da 6-10 anni.
Il motivo principale per cui le aziende intervistate da Gellify hanno deciso di attivare un’unità di Corporate Venturing è collegato all’obiettivo di creare una cultura dell’innovazione in azienda, che si rivela anche la principale ragione del successo dei programmi citati dai dirigenti intervistati; per altre, il fatto di avere una startup interna, funge da volano per attrarre giovani talenti; per altre ancora, investire in startup che operano in settori adiacenti oppure lontani dal proprio core business si è rivelata un’opportunità di diversificazione e per poter anticipare le esigenze dei mercati in cui opera la concorrenza secondo modalità più tradizionali. Infine, altre aziende ancora vedono questa come un’opportunità di crescita per re-investire nel proprio core business.
“The What”. Quale tipologia di corporate venturing scegliere? Che tipo di risorse dedicare alle startup interne o esterne? Quali sono gli elementi che precludono il successo di queste iniziative?
Non esiste una regola univoca sulla tipologia di strategia di Corporate Venturing da adottare. Dalle risposte fornite dalle aziende intervistate emerge una strategia di diversificazione degli investimenti tra il breve, il medio e il lungo periodo, in modo da cogliere i benefici diversificando i rischi. Il 50% dei leader intervistati ha dichiarato di aver lavorato a progetti con startup di una durata media che va dai 2 ai 5 anni.
In relazione all’entità degli investimenti è emerso che circa il 50% delle grandi aziende intervistate mette ogni anno a disposizione del proprio CVC un capitale di oltre 10 milioni di euro, il 36% meno di 5 milioni di euro e il 14% tra 5 e 10 milioni di euro. Il fattore risorse economiche non è ciò che le startup cercano esclusivamente dalle grandi corporate: hanno infatti bisogno che vengano loro messe a disposizione adeguate competenze manageriali per poter decollare.
Il successo delle iniziative di venturing può essere messo in discussione dall’eccessiva burocrazia interna alle grandi aziende che può causare disallineamenti con la casa madre, conflitti di interessi, problematiche relative alla proprietà intellettuale etc. Il 43% delle aziende intervistate ha avuto esperienze fallimentari con le delle startup per questi motivi.
Il coinvolgimento dell’amministratore delegato è fondamentale per l’avvio di una nuova unità di venturing, così come il consiglio di amministrazione e gli altri C-level dell’organizzazione.
Delle aziende intervistate il 60% circa ha risposto che il team delle venturing unit proviene dalla loro casa madre; il 21% circa da altre fonti; il 7,1% dalla divisione di corporate venture capital stessa e il 7,1% dalla startup/scaleup.
Un altro aspetto da considerare nel coinvolgimento delle figure chiave della casa madre è il livello di rischio che l’azienda è disposta a tollerare. L’86% degli intervistati ha risposto che l’azienda è disposta a tollerare solo un livello di rischio medio, nonostante questi tipi di investimenti generino tendenzialmente ritorni sul lungo periodo (almeno dai 5 ai 7 anni); un 7% un livello alto e l’altro 7% un livello basso.
“The Where”. Dove si intercettano le migliori opportunità di investimento (dealflow) e con quali strategie?
A questa domanda il 50% degli intervistati si è riferito alle call for startup promosse dalle corporate; il 43% alle proposte provenienti dai dipendenti del CVC o della casa madre ed emergenti dai bisogni interni dell’organizzazione oppure dei propri clienti; il 7% dai venture capital tradizionali.
La strategia di investimento più utilizzata dalle aziende intervistate è stata quella dell’investimento diretto (64,6%) mentre un 7% ha preferito investire tramite un co-investimento e un altro 7% tramite un investimento indiretto.
“Il corporate venture capital si sta diffondendo sempre di più a livello globale con tassi di crescita double digit e in Italia ha un potenziale di sviluppo enorme. In ambito open innovation rappresenta uno strumento fondamentale e perfettamente complementare, per finalità e orizzonti temporali di riferimento, alle altre modalità di interazione con l’ecosistema – ha dichiarato Sandro Bacan, Accenture Innovation Lead Italy, Greece and Central Europe -. Si tratta di uno strumento che garantisce grande flessibilità e che permette di esternalizzare gli sforzi di Ricerca & Sviluppo con l’obiettivo di migliorare, nel medio/lungo termine, le opzioni di portafoglio di business”.