- Il termine “mobbing” deriva dall’inglese “to mob”, verbo che significa “attaccare”, “aggredire” o “assalire in massa”
- Una delle caratteristiche del mobbing è la sistematicità delle condotte persecutorie. In caso di singoli episodi si parla di “straining”
Il mobbing è tra le forme di violenza più diffuse sul luogo di lavoro. Secondo una recente analisi condotta da WeWorld e Ipsos su 1.100 lavoratori e lavoratrici tra i 20 e i 64 anni, si colloca infatti al secondo posto (53%), subito dopo la violenza verbale (56%). Tra l’altro, viene percepito come una delle forme di violenza più gravi, più precisamente dal 37% del campione. Ma qual è esattamente il significato di “mobbing”? Come riconoscerlo e come affrontarlo?
Cos’è il mobbing: la definizione
Il termine “mobbing” deriva dall’inglese “to mob”, verbo che significa “attaccare”, “aggredire” o “assalire in massa”. La sua origine risale alla fine dell’Ottocento, quando veniva utilizzato in ambito psicologico. Solo più recentemente ha assunto invece una connotazione connessa a stretto filo al mondo del lavoro. Più precisamente, l’Associazione contro lo stress psico-sociale e il mobbing, nata in Germania nel 1993, definisce il mobbing come “una comunicazione conflittuale sul posto di lavoro tra colleghi o tra superiori e dipendenti nella quale la persona attaccata viene posta in una posizione di debolezza e aggredita direttamente o indirettamente da una o più persone in modo sistematico, frequentemente e per un lungo periodo, con lo scopo e/o la conseguenza della sua estromissione dal mondo del lavoro”. Un processo, continua la definizione, che “viene percepito dalla vittima come una discriminazione”.
Differenza tra mobbing e straining
Risulta evidente come una delle caratteristiche principali del mobbing sia la sistematicità e la frequenza delle condotte persecutorie. Una forma “attenuata” di mobbing è invece lo “straining”, termine che deriva a sua volta dall’inglese “strain”, che significa “affaticare” o “sforzare”. Questo concetto, sempre nel contesto lavorativo, identifica infatti singoli episodi di stress con effetti duraturi nel tempo. In altre parole, si tratta di una condotta vessatoria caratterizzata da un’azione di molestia unica e isolata.
Mobbing verticale, orizzontale e bossing
Esistono due tipologie di mobbing, a seconda dei soggetti coinvolti e della loro posizione gerarchica in azienda:
- il mobbing verticale o “mobbing dall’alto”, che si verifica quando la condotta persecutoria riguarda lavoratori e lavoratrici che occupano livelli diversi nella gerarchia dell’azienda;
- il mobbing orizzontale o “mobbing tra pari”, quando l’atto persecutorio viene condotto nei confronti di soggetti allo stesso livello della scala gerarchica.
Il mobbing verticale può essere a sua volta di due tipi:
- mobbing ascendente, quando un lavoratore o un gruppo di lavoratori attua condotte persecutorie nei confronti del proprio superiore;
- mobbing discendente, quando i comportamenti vessatori sono posti in essere da un datore di lavoro o un superiore gerarchico (in questo caso si parla anche di “bossing”).
Come riconoscere il mobbing: segnali ed esempi pratici
Riconoscere i segnali del “mobbing” tempestivamente è fondamentale per preservare il benessere psicologico e professionale delle vittime, ma anche per favorire un ambiente di lavoro sano e produttivo. Le condotte che caratterizzano il fenomeno del mobbing possono essere diverse: si va dall’isolamento all’interno del contesto lavorativo (in una sede scomoda o attraverso l’esclusione da riunioni o comunicazioni) all’assegnazione di mansioni inferiori o dequalificanti. La vittima può tra l’altro divenire oggetto di battute, pettegolezzi, insulti e comportamenti ostili, fino a vere e proprie campagne diffamatorie. C’è chi si trova a gestire enormi carichi di lavoro e chi invece subisce eccessive forme di controllo, anche oltre l’orario di lavoro. Non mancano anche casi in cui i soggetti vedono rifiutarsi sistematicamente permessi e ferie, fino ad arrivare a licenziamenti senza giusta causa.
I comportamenti tipici del mobber
Risulta evidente come siano riconducibili al mobbing sia condotte evidentemente illecite sia condotte che – se considerate come casi isolati – risultano lecite. Per fare maggior chiarezza, altri esempi pratici sono le minacce e le violenze rivolte nei confronti di un lavoratore, perseguibili sul piano penale, ma anche comportamenti di per sé “neutri” come non rivolgere la parola a un collega, ignorare le richieste di collaborazione o di aiuto, fino ad atti ritenuti normalmente leciti come un permesso non concesso dal datore di lavoro o l’invio di una visita fiscale in caso di assenza per malattia. Altri comportamenti tipici del mobber sono l’esclusione della vittima dalle comunicazioni aziendali fino all’imposizione dell’inattività forzata (nel caso del mobbing verticale) oppure il sabotaggio professionale o l’isolamento sociale (nel caso del mobbing orizzontale).
La sistematicità delle condotte persecutorie
Il fil rouge di queste condotte sta nell’intento vessatorio e, come spiegato precedentemente, nella reiterazione e sistematicità dell’azione del persecutore (anche detto “mobber”). In altre parole, il mobbing consiste in una condotta sistematica e protratta nel tempo: i comportamenti vessatori, aggressivi e persecutori non rappresentano episodi isolati ma si ripetono in modo continuativo.
Mobbing, cosa dice la legge: i riferimenti normativi
Nell’ordinamento italiano non esiste una disciplina dedicata esplicitamente al fenomeno del mobbing. Ciononostante, come spiega il Dipartimento dell’amministrazione generale, del personale e dei servizi del Mef, le norme di riferimento per difendersi dal mobbing sono:
- artt. 32 e 41 della Costituzione;
- art. 590 del Codice Penale;
- artt. 2043, 2049 e 2087 del Codice Civile;
- Legge 300/1970;
- Decreto Legislativo 626/94.
A livello costituzionale è possibile inoltre richiamare gli artt. 2, 3, 4 e 35 mentre le norme del codice civile di riferimento sono gli artt. 2087, 2103, 1175 e 1375, 2043 e 2049.
L’obbligo di tutela del datore di lavoro (art. 2087 c.c.)
In particolare, l’art. 2087 del codice civile stabilisce che “l’imprenditore è tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”.
Cosa fare se si è vittima di mobbing
La vittima di mobbing, prima di passare alla procedura del risarcimento del danno che si approfondirà a breve, può intraprendere diverse strade per arginare le condotte vessatorie. Innanzitutto, l’art. 2087 del codice civile stabilisce che l’imprenditore è “tenuto ad adottare nell’esercizio dell’impresa le misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro”. Una prima possibilità è dunque quella di indurre il datore di lavoro a implementare adeguate misure di contrasto delle condotte vessatorie eventualmente poste in essere da altri lavoratori. In secondo luogo, in base all’art. 1460 del codice civile, il lavoratore può “rifiutarsi di adempiere la sua obbligazione”, ovvero non eseguire la propria prestazione lavorativa fino a quando non vengono adottate le misure necessarie ad arginare le condotte vessatorie. Un’altra strada è quella delle dimissioni per giusta causa, disciplinate dall’articolo 2119 del codice civile.
Il risarcimento del danno da mobbing: a chi rivolgersi
La vittima di mobbing ha la facoltà di citare in giudizio il mobber e richiedere il risarcimento dei danni subiti. Per farlo, è necessario innanzitutto presentare una denuncia. L’interessato o l’interessata può affidarsi a consulenti legali e professionisti del settore, come avvocati specializzati in diritto del lavoro o associazioni sindacali.
Le tipologie di danno risarcibile: biologico, morale, esistenziale
I danni risarcibili sono diversi. Non esistendo una disciplina dedicata esplicitamente al fenomeno del mobbing, come spiegato in precedenza, le decisioni si basano sui principi generali del diritto e sulle sentenze della giurisprudenza. Fatta questa premessa, i danni possono essere di natura patrimoniale e non patrimoniale. I danni patrimoniali possono a loro volta essere suddivisi in:
- danni biologici, relativi alle lesioni fisiche o psichiche riportate dal lavoratore o della lavoratrice;
- danni morali, relativi alle sofferenze interiori causate dal mobber;
- danni esistenziali, che determinano un peggioramento delle condizioni di vita quotidiane, dalle abitudini alle relazioni.
Se invece la condotta persecutoria intacca la situazione economica della vittima – per esempio inducendo la stessa a sostenere spese mediche o farmaceutiche a causa delle lesioni psicofisiche subite oppure causandole una perdita di guadagno attraverso un demansionamento – si parla di danno patrimoniale.
Come dimostrare di essere vittima di mobbing
Per dimostrare di essere vittima di mobbing, occorre provare l’esistenza della serie di atti aggressivi, discriminatori e vessatori subiti, della loro sistematicità, dei danni conseguiti e del nesso di causalità tra le condotte vessatorie e i pregiudizi subiti. È necessario tra l’altro dimostrare che le condotte lesive non ricadono nell’esercizio dei normali poteri di organizzazione e controllo del datore di lavoro o di eventuali superiori, ma rientrano nell’ambito di una reale strategia persecutoria volta ad arrecare danno alla vittima stessa. Le prove potranno essere rese sia in via documentale, per esempio tramite certificazioni mediche, sia in via testimoniale, tramite le deposizioni di colleghi di lavoro o altri soggetti che hanno avuto modo di assistere alle condotte vessatorie.
La prevenzione del mobbing in azienda
Anche sul fronte della prevenzione del mobbing in azienda non esiste una disciplina specifica in Italia. Interessante in tal senso è l’art. 37 del CCNL Terziario Confcommercio, che affronta esplicitamente il tema del mobbing affidando alla Commissione paritetica permanente per le pari opportunità i seguenti compiti:
- raccolta dei dati sull’aspetto qualitativo e quantitativo del fenomeno del mobbing;
- individuazione delle possibili cause, con particolare riferimento alla verifica dell’esistenza di condizioni di lavoro o fattori organizzativi e gestionali che possano determinare l’insorgenza di situazioni persecutorie o di violenza morale;
- formulazione di proposte di azioni positive sulla prevenzione e repressione delle situazioni di criticità;
- formulazione di un codice quadro di condotta.
Il ruolo dell’informazione e della formazione
Ad ogni modo, il datore di lavoro può comunque agire in maniera preventiva, puntando sull’informazione e sulla formazione. Informare lavoratori e lavoratrici sul fenomeno del mobbing consente loro non soltanto di conoscere le condotte che lo caratterizzano, ma anche gli strumenti a loro disposizione per arginare gli atti vessatori. La formazione si affianca all’informazione e dovrebbe riguardare tutti i dipendenti, inclusi supervisori e dirigenti. Introdurre codici di condotta specifici, come previsto dal sopracitato art. 37 del CCNL Terziario Confcommercio, consente infine di tipizzare le condotte vessatorie e facilitare l’intervento preventivo.
(Articolo aggiornato il 1° luglio 2025)
Domande frequenti su Lavoro e mobbing: cos’è, come riconoscerlo e come gestirlo
La differenza principale risiede nella sistematicità delle azioni: il mobbing implica condotte persecutorie ripetute e costanti, mentre lo straining si riferisce a singoli episodi isolati.
Il termine 'mobbing' deriva dall'inglese 'to mob', che significa 'attaccare', 'aggredire' o 'assalire in massa', indicando un comportamento aggressivo e persecutorio sul luogo di lavoro.
L'articolo menziona l'obbligo di tutela del datore di lavoro, basato sull'art. 2087 del codice civile, che lo vincola a proteggere l'integrità fisica e morale dei suoi dipendenti.
Le tipologie di danno risarcibile includono il danno biologico, il danno morale e il danno esistenziale, che rappresentano le conseguenze negative subite dalla vittima a livello fisico, psicologico e sociale.
Secondo un'analisi di WeWorld e Ipsos su 1.100 lavoratori tra i 20 e i 64 anni, il mobbing è una forma di violenza diffusa sul luogo di lavoro, anche se l'articolo non specifica la percentuale esatta.