Una startup innovativa che fa birra ma che,
soprattutto, sta riproducendo in piccola scala una serie di strumenti
che la grande industria utilizza di norma per dare vita a un prodotto
artigianale di qualità. Ma che invece non erano alla portata dell’uso
casalingo e dei microbirrifici. Si chiama Birring e incuba nell’ambiente dell’Università
di Salerno, dall’idea di quattro amici, letteralmente, davanti a un boccale
di birra. Loro sono Antonio Caputo, founder e ceo, con una laurea in economia;
due ingegneri, Domenico Di Caro (elettronico) e Arianna Pietrosanto
(chimica) e l’erede della famiglia Webster, birrai nello Yorkshire
dal 1838, Adriana Erra Webster. All’inizio, nel 2019, si sono fatti
affiancare da un socio scientifico, Spring off, spin off universitario attivo
nella R&S di tecnologie per l’industria di produzione (non solo alimentare),
ora fuori dalla società e partner per la tecnologia.
Birra 4.0
“La produzione – dice Caputo – è iniziata a gennaio 2020 e
si basa su un processo che applica i principi di Industry 4.0. La nostra
birra innova le ricette della tradizione e le realizza con la tecnologia: l’abbiamo
chiamata Cifra, con una grafica che richiama i circuiti stampati e ogni
tipologia è contrassegnata in effetti da un numero di tre cifre che
rappresentano il corpo, che dipende dal grado di tostatura dei malti; l’amaro
che deriva dalla quantità di luppolo usato e la gradazione alcolica. Sono i
fattori che determinano il gusto dalla birra, e li abbiamo codificati per aiutare
il consumatore a scegliere quella che preferisce”.
Per attribuire la “cifra” giusta è stato necessario
elaborare modelli di analisi della bevanda. E dunque l’azienda ha sviluppato la
sua prima innovazione tecnologica: un sistema di Beer color determination.
“Si tratta di un dispositivo, stampato in 3D, che analizza il colore della
birra e in base a questo attribuisce un punteggio Ebc (European Brewing
Convention), che è la scala utilizzata in Europa per classificare la birra
in base al colore”. Uno spettrometro per l’analisi del colore costa alcune
migliaia di euro; il prototipo di Birring che ha la medesima funzione, ed è in
fase di brevettazione, ha un prezzo tra i cento e i 200 euro. E può essere
dunque utile per aumentare la qualità delle produzioni dei microbirrifici che
secondo Unionbirrai in Italia sono un migliaio, di cui 800 produttori diretti.
Un mercato potenziale di sbocco a cui Birring guarda con interesse.
Un sistema di sensori che misurano la fermentazione
Un secondo device che deriva dalla ricerca della squadra di
Caputo è un sistema di sensori che, applicati ai fermentatori, da remoto
consentono di monitorare qual è la fase di fermentazione della birra,
individuando il momento ideale per l’imbottigliamento. Sono strumenti che
aumentano la qualità: e lo dimostra il fatto che Birring sia stata in grado di
produrre, nel suo primo anno di attività, una birra – la Cifra 567 – che si è
aggiudicata il Luppolo D’Oro nella sua categoria (Strong Ale), una sorta
di Oscar dei birrai.
Il prossimo passo? Spingere sull’economia circolare. “Il
malto, una volta ammostato viene filtrato e diventa trebbia: uno scarto di
lavorazione che nei microbirrifici ammonta in complesso a 10 tonnellate e
viene tipicamente destinato al ciclo dei rifiuti – spiega Caputo – mentre
potrebbe diventare mangime per animali o biomassa per la produzione di energia.
Le grandi industrie, anche in questo caso, lo usano in questo modo. I piccoli
no. Allora abbiamo pensato di creare una piattaforma che metta in connessione i
microbirrifici con i potenziali consumatori di trebbie (aziende agricole,
produttori di energia) e un sistema di tracciabilità per verificarne la
destinazione”.