Valutare significa “dare valore” e non “giudicare”. Si tratta, quindi, di valorizzare quanto realizzato da un progetto sociale, in termini di risultati e obiettivi raggiunti. Un compito non facile per un soggetto valutatore: molti enti temono questo processo perché confondono il concetto di valutazione con quello di giudizio.
In aggiunta permette una riflessione interna e la condivisione di buone pratiche, la stimolazione di un pensiero strategico di intervento sul territorio e una restituzione efficace di quanto realizzato, in termine di valore dei prodotti e dei servizi forniti.
L’Agenda 2030 per lo sviluppo sostenibile delle Nazioni unite afferma l’importanza di misurare i risultati e i progressi degli outcome per le imprese e gli enti del terzo settore. Esplicita i criteri e le caratteristiche che gli impact assessment devono avere; in particolare focalizza l’attenzione sulla necessità di un sistema di follow-up e revisione solido, partecipativo, trasparente e integrato.
Idealmente quindi, ogni iniziativa a impatto sociale dovrebbe risultare complementare con le altre progettualità presenti su un territorio di riferimento, ed essere in linea con gli obiettivi di sviluppo sostenibile (Sdgs).
Le realtà che a oggi sono interessate alla valutazione di impatto sociale sono numerose e differenti per tipologia: imprese, operatori finanziari, fondazioni grant making e operative.
Le società benefit, ad esempio, prevedono la rendicontazione dell’impatto sociale generato nella propria relazione annuale. Le maggiori fondazioni grant making, che prevedono contributi liberali per progetti sociali, sono interessate a coprire il costo della valutazione di impatto all’interno del budget di progetto.
La misurazione può avvenire secondo metodi quantitativi e qualitativi che determinano opportune metriche.
Di queste è interessante citarne tre, utilizzate da parte di enti del terzo settore e da parte di imprese.
La prima è lo Sroi, acronimo di “Social return on investments”, che sintetizza in un unico indicatore il valore sociale degli investimenti effettuati. Questo è reso possibile grazie a un sistema di proxy finanziarie, che fornisce un valore economico agli aspetti che intrinsecamente non lo hanno. Richiede un’attenta valutazione propedeutica e una mappatura degli stakeholder. È un indicatore sintetico che permette una comunicazione immediata. Permette un completo coinvolgimento degli stakeholder e riesce a “dare valore” economico anche agli aspetti più qualitativi.
Il terzo è il theory based evaluation. Si tratta di un approccio alla valutazione, più che di un metodo rigidamente definito. Uno degli approcci più comuni e utilizzati è il cosiddetto “theory of change approach”, che ricostruisce la teoria del cambiamento (la ToC) e ne verifica la logica. Questo approccio è solitamente accompagnato a una valutazione tramite criteri Oecd-Dac (rilevanza, coerenza, efficacia, efficienza, sostenibilità e impatto).