Paolo Savona, presidente Consob, ha ripreso un argomento sempre a lui molto caro, vale a dire che il risparmio, nell’attuale fase di inflazione – ma, nemmeno troppo paradossalmente, anche in quella appena precedente di tassi bassi ed addirittura negativi -, può essere tutelato efficacemente solo se finalizzato al processo produttivo, in modo diretto così da poter beneficiare di rendimenti più elevati: ciò si verifica non tanto – sia ben chiaro – quando gli investitori si rivolgono direttamente alle imprese produttive, nel qual caso resta sempre fermo il ruolo determinante di indirizzo e di consulenza degli intermediari finanziari di investimento, quanto piuttosto quando essi scelgono investimenti dinamici e rischiosi, di solito di spettanza di operatori professionali – tra cui spiccano le banche nell’impiego della propria tesoreria.
Il punto centrale è così quello di privilegiare gli investimenti dinamici, riducendo il livello di separazione tra investimenti e risparmi e favorendo il ricorso dei risparmiatori privati alle forme prima riservate agli operatori professionali. In tal modo, il risparmio gestito – sia delle gestioni individuali sia di quelle collettive dei fondi comuni – e quello assistito da consulenza agli investimenti prendono una parte del posto del “merchant banking” – e sarà d’interesse approfondire in altra sede come tale settore effettuerà la conseguente riconversione parziale della propria attività – il che, oltre agli aspetti positivi, intuitivi e pertanto suscettibili di non richiedere esplicazione, presenta il rischio di sovrapposizione di ruoli.
I fondi e i prodotti alternativi finiscono direttamente nel patrimonio dei risparmiatori finali invece – in parte, per quanto ovvio – che in quello delle “merchant bank” – e degli intermediari di “venture capital”- finora le vere protagoniste di tale operatività.
La conseguenza, tutt’altro che banale, è la traslazione sui risparmiatori di rischi che, da un punto di vista economico, spettano a investitori sofisticati e anzi professionali, i quali sono gli unici in grado, in virtù di investimenti massicci diversificati, di sopportarli ottenendo, in alcuni di essi, utili strabilianti in grado di ovviare ad altre perdite elevate. I risparmiatori privati non sono di converso in grado, nella normalità dei casi, di effettuare investimenti massicci, con la conseguenza che una perdita ingente può restare non sanata “aliunde”.
La tutela dei risparmiatori
Ebbene, un ruolo più attivo e dinamico dei risparmiatori non sostitutivo del ruolo degli investitori professionali ma sempre affiancato da questi, in modo ovviamente diverso – come si chiarirà “infra”- richiede effettività di tutela. Il punto di partenza dell’analisi è (ribadire) che gli investimenti alternativi sono propri delle merchant bank, che sopportano i relativi rischi. La loro attività rientra nei servizi di investimento, ma con i risparmiatori che sono non solo mandanti ma anche controparti – proprio nei singoli investimenti – dell’intermediario.
La tutela dei risparmiatori incontra così, per antonomasia, vale a dire alla luce della stessa operatività di “merchant banking”, dei profili di problematicità, superabili solo in caso di strumenti finanziari quotati, caratterizzati da possibilità agevole di smobilizzo con prezzi ufficiali.
Con il passaggio al risparmio gestito e alla consulenza, i risparmiatori non sono più controparti -proprio nei singoli investimenti – dell’intermediario e così sono posti in condizione di ricevere maggiore tutela, ma tale condizione si verifica esclusivamente ove gli alti rischi siano oggetto di selezioni e valutazioni prima e poi di controlli adeguati veramente effettivi.
La necessità di strumenti di controllo più efficaci di quelli attuali
Si entra in una nuova fase, in cui l’innalzamento dei rischi a carico dei risparmiatori deve trovare una “contropartita” nell’elaborazione di strumenti di controllo molto più efficaci di quelli attuali. La selezione dei rischi elevati, nel collocarsi, in un ruolo di intermediazione a tutela solo dei risparmiatori, registra un salto enorme di qualità, caratterizzandosi infatti per la valutazione dell’approccio ai rischi e per l’elaborazione dei relativi profili che sono veramente complesse e onestamente non univoche: la materia finanziaria è tecnicamente sofisticata e riservata, per la comprensione, a pochi specialisti, e negli investimenti più dinamici si caratterizza per alta volatilità.
Da ciò consegue che la pretesa di una tipizzazione “ex ante” si rivela pericolosa e tale da trasformarsi, in via perversa, in legittimazione di una successiva valutazione “ex post”, vale a dire con il senno del poi, il che finisce per traslare sull’intermediario i rischi dell’investimento, in termini francamente inammissibili.
La conseguenza è che occorre una valutazione, da tradurre poi in profili giuridici – non di merito, il che significherebbe una sovrapposizione del Giudice all’intermediario – ma secondo ragionevolezza, del nesso tra alto rischio e rendimento atteso. La valutazione secondo ragionevolezza sembra generica: la specificità deriva peraltro dall’individuazione di criteri oggettivi, univoci e inequivocabilmente preventivi di criteri di selezione dei rischi alti, in modo da realizzare così non una tipizzazione – come detto dall’esito pericoloso -, ma una elaborazione con fissazione delle caratteristiche essenziali.
Ciò è assolutamente impossibile se non si tiene presente che l’intermediazione finanziaria è in grado di effettuare a proprio vantaggio la selezione dei rischi alti nel “merchant banking”, mentre ora deve finalizzarla in altro ramo a vantaggio dei clienti, il che è reso ancora più complicato dalla circostanza che l’ottica è completamente diversa, vista la differenza radicale a monte nella propensione al rischio e nelle strategie di investimento. Ebbene, il “trade-off”, ottimale, tra rischio elevato effettivamente sopportato e reddito – solo – atteso elevato non è semplice da enucleare, ma ci si può avvicinare elaborando le fattispecie sia dei rischi irragionevoli sia delle possibilità di reddito alto irrealistiche