Dopo aver approfondito il tema della rinuncia all’eredità, ci focalizziamo ora sulla sua revoca.
Ricordiamo che la rinuncia è un negozio unilaterale e non recettizio, a forma solenne, perché può farsi esclusivamente a mezzo di dichiarazione ricevuta da un notaio o dal cancelliere del tribunale del circondiario in cui si è aperta la successione: ogni altra forma di rinunzia compiuta dal chiamato è nulla per difetto di forma ai sensi dell’art. 519 c.c.
La rinuncia, ha, peraltro effetto retroattivo ai sensi dell’art. 521 c.c. (“chi rinuncia all’eredità è considerato come se non vi fosse mai stato chiamato”); il medesimo articolo peraltro precisa che il rinunciante può ritenere la donazione o domandare il legato a lui fatto sino a concorrenza della porzione disponibile.
La rinuncia, che è l’atto con cui il chiamato rifiuta l’acquisto ereditario, non provoca in verità l’irretrattabile perdita del diritto di accettare l’eredità, visto che l’art. 525 c.c. consente, a certe condizioni, che il chiamato possa revocare la propria rinuncia.
Dispone infatti detto articolo che “fino a che il diritto di accettare l’eredità non è prescritto contro i chiamati che vi hanno rinunziato, questi possono sempre accettarla, se non è già stata acquistata da altro dei chiamati, senza pregiudizio delle ragioni acquistate da terzi sopra i beni dell’eredità”.
La revoca della rinuncia all’eredità
Si ritiene che l’articolo in commento sostanzi, più che una revoca, una tardiva accettazione dell’eredità: più che far venire meno la delazione del chiamato, la revoca della rinunzia crea una situazione di coesistenza del diritto di accettare l’eredità tanto in capo al chiamato che ha rinunziato, quanto a favore degli altri chiamati. Infatti si è sostenuto che, se fosse una vera revoca, questa dovrebbe limitarsi a eliminare gli effetti della rinunzia, riportando il chiamato nella situazione in cui deve delibare se accettare o rinunziare l’eredità; mentre la revoca della rinunzia implica, in realtà, l’acquisto dell’eredità.
La predetta ricostruzione indica anche quale sia la forma della revoca della rinuncia, che è quella dell’accettazione dell’eredità, tanto espressa quanto tacita; mentre non si possono più realizzare le forme di accettazione presunta, cioè il possesso dei beni ereditari per il termine indicato dall’art. 485 c.c. e la sottrazione o occultamento degli stessi.
Le modalità della revoca della rinuncia all’eredità
In sostanza il rinunziante può compiere la revoca della rinunzia (tramite acquisto dell’eredità):
- anzitutto, qualora il termine di prescrizione non sia scaduto (sia esso quello ordinario decennale ai sensi dell’art. 480 c.c., o quello decadenziale più breve fissato dal giudice a norma dell’art. 481 c.c.);
- in secondo luogo, qualora la quota rinunciata non sia stata acquistata da altri chiamati, vuoi per accettazione, vuoi automaticamente per accrescimento (ex art. 674 c.c.) ovvero dallo Stato in mancanza di altri successibili.
Va soggiunto che, in caso di morte del rinunciante, il potere di revocare la rinunzia si trasmette ai suoi eredi ai sensi dell’art. 479 c.c.
Discussa è la portata dell’inciso “senza pregiudizio delle ragioni acquistate da terzi sopra i beni dell’eredità”. Per alcuni autori, altro non è che la conferma del passaggio dei poteri di gestione del patrimonio ereditario ai chiamati successivi; altri, invece, ritengono che significhi semplicemente che il legittimario che rinunzia all’eredità e poi revoca la rinunzia perde il diritto di agire in riduzione, facendo quindi salvi gli acquisti di donatari e legatari; altri ancora, invece, ritengono che l’articolo in commento non abbia grande applicazione pratica, perché non aggiunge nulla alla normale tutela di cui godono già i terzi.
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