Eh sì, pare proprio che sia così. «Finché dura…»: così si esprime da sempre l’investitore, e negli ultimi due anni più che mai, attenendo che tutto cambi, nuovamente, e che il mercato prenda altre vie tornando indietro, facendo quel passo, il famigerato sell off sovranominato dalla stampa finanziaria oltreoceano, per non stare solo da noi e parlare di storno….
È talmente abituato, che stenta ad accorgersi di mutamenti possibili nelle sue decisioni di investimento, almeno nel suo pensiero, soprattutto nell’ultimo lunghissimo periodo di sovraperformance; record, nonostante tutto, anche quando tutto suggerisce che invece qualcosa stia cambiando, come in questi giorni pendendo dalle labbra di Mr. Powell, attendendo le ennesime parole di conforto per sincerarci – noi consulenti – e rassicurare – i clienti – che tutto stesse continuando sulla retta via.
E quando l’investitore si esprime così, con quel «finché dura», ci sono due motivazioni di fondo. Prima motivazione, se è già totalmente investito per lo più in azionario, pensando che occorra far attenzione per vendere e portare a casa tutto: qui il retro pensiero è «non può durare, la salita dura poco, e allora carpe diem perché poi scende e si perde quanto si è guadagnato». La seconda riguarda chi sta ancora aspettando di entrare nel mercato (non so voi ma ci sono clienti che da marzo 2020 stanno aspettando il fatidico momentum), pensando che prima o poi arriverà, perché quel sopravvalutato 20% o più delle quotazioni rispetto ai valori reali sta certamente per esplodere (le immagini mentali ritornano sempre allo scoppio della famigerata bolla, perché per l’investitore c’è sempre una bolla che sta per scoppiare).
In entrambi i casi mentali (e pratici, perché portano ad agire o allo stare fermi) ora descritti, la durata sembra essere e rimane essenzialmente un quid negativo, un criterio limite che spinge a interrompere l’investimento oppure a, finalmente, entrarci. L’investitore lo utilizza infatti in senso negativo: nel suo pensare «non può durare» o nel suo attendista «è quasi finita, lo so».
Ebbene. Diciamo che, invece, forse è arrivato il momento, o meglio sarebbe ora, di cambiare rotta, di accettare quella che si configura come una vera e propria disruption della durata. Accettandola finalmente come il criterio per eccellenza positivo per stare e rimanere nell’investimento azionario (sarebbe da dire anche nell’obbligazionario, ma qui non mi soffermo su questa diversa componente dell’asset allocation). E qui sembra si debba tornare alla banalità, ovvero alla scontatezza di un tempo per riprendere in mano come si investiva nell’azionario… appunto molto tempo fa.
Perché oggi più che mai, questo a più riprese ripete il mercato reale, occorre scegliere le aziende, i settori, i temi… destinati a durare. Per non andare sull’acronimo sulla bocca di tutti (e anche io ne parlo diffusamente): ESG.
Ma, in modo più sorprendente, questa “resistenza al cambiamento” del pensiero della durata si ritrova nel caso dell’investitore che sta aspettando a entrare dopo i trascorsi di sell off pandemici. Sì, costui, che pure proprio per aver atteso tanto a rientrare dovrebbe essere più propenso a tutto ciò che sia novità, perché i trascorsi lo hanno profondamente colpito, la tradizione lo ha quasi tradito per l’ennesima volta portandolo a dubitare di potersi fidare di nuovo di come andavano una volta le cose nel mondo degli investimenti. Costui, invece, si aggrappa alla tradizione e fa opposizione più che mai all’irrompere di tutte le novità che comunicano cosa possa significare investimento duraturo. Perché? Perché queste novità destinate a durare non hanno ancora l’amatissimo track record del tempo passato, o ce l’hanno troppo breve.
Che dire? Se qualcuno osasse ancora dirmi che per fare consulenza non è necessario far cambiare solo idea ma testa al cliente, non saprei come rispondergli se non con una domanda: scusa, ma tu che lavoro fai?
Alla prossima!
Maria Anna Pinturo
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