La nostra vita smart è ormai così complessa da imitare in molti aspetti quella fisica. Studiamo su computer, lavoriamo da remoto, archiviamo tutto quello che ci riguarda su un hard disk o su un cloud, abbiamo una serie di abbonamenti il cui pagamento è automaticamente indirizzato a un conto o a una carta bancaria, socializziamo online, scarichiamo le foto dal cellulare sul computer e postiamo video su youtube. Senza contare chi della sua presenza online fa un mestiere, come gli influencer, che vengono pagati in virtù di quanti follower hanno. O chi possiede proprietà digitali di valore finanziario, come le criptovalute.
Ci siamo mai chiesti cosa succede delle nostre tracce e proprietà digitali quando lasciamo questo mondo? La successione dei beni fisici fisica è giuridicamente normata, nessuno però ha ancora dettato le regole per il reperimento prima e la successione poi delle nostre tracce digitali, dai banali account social – che potrebbero continuare per secoli a invitare possibili conoscenze del defunto a stringere amicizia con lui – con relative password, a conti bancari online, diritti e oneri da contratti digitali, criptovalute od opere dell’ingegno inedite: libri che il defunto stava scrivendo, foto professionali ed elaborazioni digitali di opere grafiche cui stesse lavorando, montaggi digitali di filmati. Con lo smart working, anche le aziende potrebbero incorrere nel problema di reperire con diritto documenti digitali del lavoratore deceduto.
Per fortuna, in assenza di leggi, il tema è governato dalla normativa sulla privacy e dalla giurisprudenza che si sta formando. A questo scopo sono nate società che assistono sia chi si trovi a dover gestire una successione di beni digitali, patrimoniali e non patrimoniali, sia chi voglia provvedere in vita a mettere in ordine ciò che gli appartiene online.
Resta il fatto che occorrono alcuni passi precisi, preventivi ad opera del titolare e successivi ad opera degli eredi. Il primo è fare ordine, eliminare account e attività online prescindibili, aggiornare le password che non si ricordano. Il secondo, elencare le password, insieme al relativo ID, su un documento da allegare al testamento (non elencarle nel testamento perché verrebbero rese pubbliche con esso). Terzo: indicare un fiduciario o mandatario delegato alla gestione della propria eredità digitale, ricordando che ciò non implica il trasferimento di eventuali beni patrimoniali digitali che, in quanto tali, seguono le previsioni della legge sulla successione. Il mandatario può anche essere una società specializzata. In entrambi i casi, al mandatario va l’elenco delle password e/o l’incarico di rappresentarci presso i provider di servizi e piattaforme online.
Infine, leggere le condizioni di servizio per la gestione degli account social in caso di decesso. Facebook ha una regolamentazione abbastanza chiara attraverso la quale si può indicare come depositario del proprio account un amico o un erede oppure barrare la casella che richieda la cancellazione dell’account alla scomparsa del titolare. Ma non tutti i social hanno le stesse regole. Se a noi stessi non importa molto di cosa succederà delle nostre tracce digitali sui social, ricordiamo che possono acuire il dolore della perdita per chi resta. “Il nostro sistema giuridico non contempla il fenomeno della successione digitale mortis causa, ovvero la trasmissione anche del patrimonio rappresentato da elementi di natura digitale, generalmente assai eterogenei tra loro, che coinvolgono dati (fruibili tramite internet e protetti da password) e informazioni (presenti nei dispositivi elettronici di ciascuno), aventi contenuto patrimoniale oppure di natura personale o familiare (prevalentemente di carattere affetti- vo e privi di valore economico)”, spiega Roberto Lenzi, avvocato patrimonialista, fondatore dello Studio Lenzi e associati, che ha recentemente partecipato a una conferenza sul tema.
Come gestire quindi un passaggio ereditario che comprenda anche questi beni? “Sotto il profilo civilistico possiamo considerare, su un piano squisitamente pratico, due diverse fattispecie: la prima è il mandato post mortem exequendum (documento ad hoc, richiamato dal testamento ma da esso separato e non pubblicabile). In virtù di questo negozio giuridico, il testatore (mandante) investe una persona di fiducia (mandataria) del compito di gestire la successione digitale e, a tal fine, destina ad essa un documento contenente password e id. Il mandatario si obbliga a compiere un’attività puramente materiale o esecutiva e non già a realizzare un’attribuzione patrimoniale (pena la sua nullità, ex artt. 457 e 458 c.c.).
Qualora, invece, si desideri consentire agli eredi di ottenere informazioni e dati presenti presso un gestore o provider, occorrerà legittimarli in tal senso nel testamento, essendo il tema della riservatezza un elemento dietro al quale molti provider si trincerano per rispondere negativamente alle richieste degli eredi (i contratti tra utenti e fornitori dei servizi sono basati su previsioni normative tipiche di ordinamenti stranieri, talvolta incompatibili con il diritto italiano; tali, comunque, da rendere ostativa la trasferibilità di determinati diritti, appartenenti alla titolarità esclusiva del de cuius, agli eredi).” A questo proposito è significativa una recente Ordinanza del Tribunale di Milano.
“Del 10 febbraio 2021: nell’intervenire su un contenzioso tra la Apple e gli eredi di un giovane aspirante chef morto prematuramente, il Tribunale di Milano ha condannato la società a fornire assistenza ai genitori per il recupero di quanto richiesto, con la motivazione che i diritti riguardanti le persone decedute possono essere esercitati dagli eredi per “ragioni familiari meritevoli di protezione” (nel caso specifico, si trattava di reperire le ricette ideate dal figlio, necessarie per realizzare un libro di cucina in memoria). Il nostro ordinamento infatti sancisce il principio della persistenza dei diritti oltre la vita della persona (art. 2- terdecies del Codice della privacy, riformato dal D.lgs. 101/2018), consentendo, così, a coloro che agiscono per “ragioni familiari meritevoli di protezione, l’esercizio dei diritti attinenti ai dati personali delle persone decedute (superando, così, anche il prevalente orientamento negativo in dottrina sulla trasmissibilità di beni aventi natura personale). Salvo che l’interessato (deceduto) non abbia espressamente vietato l’esercizio di tali diritti post mortem attraverso una dichiarazione scritta comunicata al titolare del trattamento dei dati.
Tutto ciò è peraltro in linea con lo stesso Regolamento Europeo sulla privacy che non fornisce previsioni in merito ai dati personali delle persone decedute, limitandosi a rinviare agli Stati membri la stesura di norme specifiche. Noi, per fortuna, possiamo appoggiarci alla normativa sulla privacy.”
(articolo tratto dal magazine We Wealth di giugno)
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