Come ricordato da Francesco Pene Vidari durante l’evento, le opere d’arte rientrano nella definizione di «mobilia» ai fini dell’imposta sulle successioni a condizione che siano custodite nelle abitazioni private. Il regime valutativo previsto (presunzione del 10% dell’asse ereditario netto), che talvolta può risultare agevolativo, non è però applicabile qualora la collezione sia collocata in luoghi diversi dalle private abitazioni (caveau, depositi ecc. In tal caso si applicherà l’imposta sulle successioni con le aliquote ordinarie).
Lo stesso notaio Pene Vidari ammonisce che quello della «mobilia» d’arte o di lusso è un tema delicato, che «impone attenzione: in alcune famiglie addirittura l’80% della ricchezza è rappresentato proprio da arte e beni preziosi», in questi casi bisogna, dunque, valutare come e se fruire del regime fiscale riservato alla «mobilia» ai fini successori. Occorre, inoltre, «avere chiari in mente alcuni passi da compiere» per tenere in ordine e proteggere il proprio patrimonio artistico ed evitare criticità in sede successoria: «Per ogni opera è bene chiedersi – per iniziare – chi sia il proprietario. Occorre individuare il titolo di proprietà: ad esempio, non è detto che chi acquista un’opera o un gioiello ne sia poi effettivamente il proprietario». Tuttavia, «quando si pianifica un passaggio generazionale, colui che trasferisce l’opera d’arte o l’asset di lusso deve esserne il proprietario».
In questo contesto, conseguentemente, è fondamentale capire se l’acquisto dell’opera sia avvenuto sul mercato primario o sul mercato secondario (aste, transazioni private, ecc.), ovvero se l’opera sia autentica. Ancora, bisogna chiedersi se tutti i passaggi sono stati legittimi, se la provenienza dell’opera d’arte o del bene di lusso è legale. Nel caso di patrimonio detenuto all’estero poi, bisogna considerare che le regole di circolazione «sono diverse da paese a paese e che quindi le regole per l’accertamento della proprietà possono variare».
Per lo Stato quindi, “l’eventuale dispersione (ossia vendita di singoli veicoli) dell’insieme (inteso come collezione) costituirebbe un impoverimento al suo significato complessivo, che deve rimanere tale dato che la storia di questa grande azienda, importante e significativa per Torino e per l’Italia intera è rappresentata proprio dalla compresenza dei veicoli, prototipi e modelli costituenti la collezione medesima”. Ma gli ostacoli alla circolazione non solo successoria di opere d’arte e beni di lusso non terminano qui. Può accadere infatti che il vincolo della notifica gravi non solo sul “contenuto” di un immobile, ma anche sul contenente, ovvero l’immobile stesso. È il caso per esempio del centro direzionale e museo storico Alfa Romeo di Arese, per il quale è stato riconosciuto “un legame storicamente esistente tra il compendio immobiliare e i beni mobili costituenti la raccolta e l’archivio” per cui il “vincolo pertinenziale caratterizza storicamente i beni in modo unitario” (Tar Lombardia – Milano 617/2017).
Dal punto di vista civilistico, la pertinenza segue le sorti del bene principale. Oppure, osserva ancora l’avvocato può accadere che sia l’immobile ad essere considerato pertinenza del contenuto (è il caso della vicenda relativa alla Fondazione Marino Marini di Pistoia: si volevano spostare le opere dell’artista a Firenze, ma il Comune di Pistoia si è opposto, adducendo la pertinenzialità dell’immobile rispetto alla raccolta – Tar Toscana 23 febbraio 2021, n. 288). Un altro caso è quello del celebre Circolo degli Artisti di Torino, per cui la collezione è stata considerata un accessorio del contenente, Palazzo Granieri della Roccia (Tar Lazio 7/23 febbraio 2001).
In generale, per una corretta pianificazione patrimoniale il rischio di notifica va gestito. E il collezionista deve decidere se e in che misura dare visibilità alla propria collezione. È comprensibile che molti collezionisti siano riluttanti a dare visibilità alle proprie opere, magari prestandole a mostre, proprio per lo spauracchio della notifica. Si chiede allora Giuseppe Calabi: cosa accadrebbe se il titolare di una collezione la dividesse fra i suoi figli, i singoli lotti sarebbero sottratti al rischio di tutela? Lo stesso avvocato ritiene di sì: «Le norme civilistiche in questo caso dovrebbero prevalere sulla forza attrattiva della normativa di tutela, perché non si può pensare che lo Stato possa ricreare con un vincolo un regime che sia stato oggetto di divisione. Lo Stato non può sostituirsi alla proprietà privata». Tuttavia, qualche motivo di preoccupazione «può nascere dalle sentenze appena viste. In ogni caso, quello della notifica resta «un grosso problema: si dovrebbe prevedere una forma di indennizzo, come accade in Francia».
Volendo pensare alla collezione come a una possibilità di supporto economico a favore della vita familiare (per esempio di un artista), Tommaso Tisot indica l’utilità del trust (che può anche curare l’incasso del diritto di seguito), citando un caso concreto di eredi d’artista le cui diverse sensibilità patrimoniali andavano contemperate e gestite. In quel caso, il problema non era la proprietà della collezione ma la sua gestione, tutela e valorizzazione (inclusa una sua circolazione a livello mondiale). «Questo era uno dei casi in cui il valore della collezione era di molto superiore a quello del patrimonio complessivo della famiglia», racconta Tisot. Il timore era quello che se / quando gli eredi avebbero “scoperto” il valore economico della raccolta, si sarebbero precipitati a vendere le singole opere per ottenere un realizzo monetario immediato, svalutandone però il valore e arrecando un danno non solo al patrimonio della famiglia stessa, ma anche a quello degli altri collezionisti. «In quella occasione si decise di optare per lo strumento del trust con durata limitata. La volontà dei disponenti era infatti quella di creare una collezione permanente all’interno del trust. «Il trustee amministrativo doveva avere non solo una sensibilità al mercato dell’arte, ma anche competenze specifiche nel restauro e in qualsiasi altra tematica attinente alla conservazione del patrimonio d’arte. Nel fondo, c’erano tutte le opere dell’artista».
Condizione questa, ideale per un’ordinata creazione dell’archivio d’artista, puntualmente avvenuta. Inoltre, conclude Tisot, lo strumento gestorio del trust ha portato alla creazione un sotto-fondo delle opere, chiamato sotto-fondo della collezione permanente. Una partizione rivelatasi molto duttile ai fini operativi. Il trustee poteva infatti, col consenso del guardiano, porre in essere operazioni diverse nell’ambito del sotto-fondo.
Il trust si conferma, dunque, uno strumento in grado di rassicurare il collezionista con la sua comprensibile e umana «vocazione di voler attribuire un carattere di eternità alla sua collezione», per usare in chiusura le parole dell’avvocato Giuseppe Calabi.
“Eternità” che si manifesterà quando ad essere ereditate saranno opere nft? È la riflessione che arriva con l’intervento finale di Alessandro Fracassi, cofondatore e ceo di MutuiOnline. L’unicità dei non fungible token non è data dall’opera in sé, ma dalla firma che il suo creatore vi appone, ovvero il codice hash che la identifica come “unica” e non fungibile (aspetto questo che differenzia gli nft dalle criptovalute, che in quanto moneta sono fungibili).
«Su OpenSea si può creare un nft con la stessa semplicità di un post su Instagram», rivela Fracassi. E si badi bene, qualunque opera dell’ingegno può essere trasformata in nft, «che si tratti di una canzone o di un modello per fare una stampa 3D, per esempio. Sulle piattaforme, gli nft sono un elemento “market ready”», di immediato possibile realizzo patrimoniale. Non solo: su questi market place è disponibile in ogni istante tutta la storia patrimoniale dell’asset.
Cosa comporterà questo per le regole della trasferibilità e della circolazione, anche successoria, delle opere d’arte? «Sono già presenti modelli evolutivi interessantissimi», rileva Alessandro Fracassi. «Per esempio, vi sono siti che permettono di cartolarizzare i non fungible token, dividendoli anche in miliardi di parti». Uno spunto che non può non sollevare interesse, alla luce delle divisioni patrimoniali.