Il lettore non me ne vorrà, ma devo partire con un virgolettato: “
L’attività di riscossione deve andare incontro a una vera e propria ≪rivoluzione manageriale≫ in grado di superare l’approccio meramente formale e virare verso una gestione del processo produttivo interamente concentrata su efficienza ed efficacia”.
E ancora: “
Le esperienze di ≪rottamazione≫ delle cartelle esattoriali, in base al quale al contribuente è riconosciuta la possibilità di rateizzare il debito di imposta originario con esclusione di sanzioni e interessi, sono da considerarsi positive e utili in un’ottica di favorire l’adempimento. Ogni ulteriore e più esteso passo è da legarsi alla dimensione strutturale della riforma fiscale in discussione: quanto più essa sarà in grado di inaugurare un sistema fiscale radicalmente e strutturalmente diverso, tanto più saranno possibili interventi sui debiti fiscali in essere”.
Si tratta di un estratto della relazione, da poco pubblicata, della Commissione bicamerale istituita per svolgere un’indagine conoscitiva sulla riforma fiscale che ci aspetta, indagine sulla base della quale il parlamento italiano dovrebbe varare la legge che delega al governo la realizzazione della riforma stessa.
Al netto della retorica debordante, e di qualche cedimento della sintassi, la Commissione, nell’evocare l’immancabile
condono fiscale, ha stigmatizzato un concetto deleterio, a mio modesto avviso, per tutta la riforma che verrà, buona o cattiva che sia, ovvero che abbuonare sanzioni e interessi delle cartelle esattoriali (ricordiamolo: recano un titolo esecutivo, come le cambiali, e sanciscono la somma di denaro che si deve pagare allo Stato) favorisce l’adempimento. Come dire che togliere le multe stradali favorisce il rispetto dei limiti di velocità.
Già sento le obiezioni: con un sistema fiscale così complesso, con un’amministrazione fiscale così formalistica, con un legislatore così capriccioso, e, soprattutto, con un primo ministro che dichiara che, stremati dalla pandemia, “è il momento di dare e non di prendere”, la rottamazione delle cartelle è un atto di giustizia, più che di clemenza.
Vorrei invece sommessamente osservare che
togliere la “certezza della tassa” significa togliere qualunque credibilità a qualsivoglia sistema fiscale, e che, paradossalmente, sono proprio le cartelle fastidiose o “ingiuste” a dare impulso a un rinnovamento radicale e strutturale del sistema
fiscale, perché solo se quest’ultimo è basato sulla certezza (=credibilità) di ogni sua fase, a partire da quella finale (ovvero quella della riscossione), verranno realmente profusi tutti gli sforzi (a partire dal legislatore) affinché debiti tributari “ingiusti” non debbano mai verificarsi.
Invocare genericamente efficienza ed efficacia, managerialità, processo produttivo, senza affermare con forza un principio cardine di qualunque sistema fiscale, ovvero che i debiti tributari vanno sempre pagati, anche quelli “ingiusti”, ci riporta all’Italietta che abbiamo conosciuto in tanti passaggi storici della nostra Repubblica.
È la stessa commissione bicamerale a invocare (si veda il paragrafo 2.14 sul contrasto all’evasione fiscale e il rapporto fisco-contribuente) “un’evoluzione culturale da ambo le parti” (amministrazione e contribuenti): giusto, ma a mio avviso al tradizionale binomio italiano peccato (evasione) – pentimento (condono fiscale), basterebbe affiancare una certezza cristallina: i debiti si pagano sempre.
Il lettore non me ne vorrà, ma devo partire con un virgolettato: “L’attività di riscossione deve andare incontro a una vera e propria ≪rivoluzione manageriale≫ in grado di superare l’approccio meramente formale e virare verso una gestione del processo produttivo interamente concentrata su efficienza…