Un nuovo working paper del Fondo monetario internazionale ha messo in luce quale sia, nei diversi Paesi europei, il divario nell’inflazione sperimentata dal 20% più ricco e dal 20% più povero delle famiglie nel 2022
Mentre una percentuale mirata delle famiglie dovrebbe essere aiutata contro il carovita, gli economisti del Fmi sono poco propensi a suggerire sostegni a beneficio delle imprese
Con l’aumento dei prezzi degli ultimi mesi, concentrato soprattutto sui prodotti energetici, non c’è voluto molto tempo a prendere coscienza che, a dispetto dell’indice d’inflazione generale, l’impatto dei rincari sarebbe stato molto diverso nelle diverse fasce di popolazione. Come affermato, fra gli altri, anche dalla presidente della Banca centrale europea, Christine Lagarde, l’inflazione che ha colpito l’Europa in seguito allo scoppio della guerra in Ucraina tende a colpire maggiormente le fasce più deboli della popolazione – per le quali è come se il tasso d’inflazione fosse nettamente più elevato. Ma quanto di più?
Un nuovo working paper del Fondo monetario internazionale ha messo in luce quale sia, nei diversi Paesi europei, il divario nell’inflazione sperimentata dal 20% più ricco e dal 20% più povero delle famiglie nel 2022. Fatte salve quattro eccezioni, ovunque si guardi è la parte più povera della popolazione a pagare un conto più salato per colpa dell’inflazione. “Nella maggior parte dei paesi europei, l’aumento dei prezzi dell’energia impone un onere ancora più pesante alle famiglie a basso reddito, che spendono una quota maggiore del loro budget per l’elettricità e il gas”, hanno spiegato gli autori del paper, gli economisti del Fmi Oya Celasun, Dora Iakova e Ian Parry.
Secondo l’analisi del Fondo monetario, l’Italia mostra il terzo divario più ampio nell’inflazione subita nelle due diverse fasce di reddito: per la Penisola, si prevede che nel 2022 il 20% meno abbiente dovrà fare i conti con un’inflazione superiore al 10%, mentre il 20% più ricco dovrà scontare rincari del 6-7%.
In Estonia e nel Regno Unito, poi, “il costo della vita per il 20% più povero delle famiglie è destinato ad aumentare di circa il doppio rispetto a quello delle famiglie più ricche”, hanno affermato gli autori, suggerendo “la messa in atto di misure di sostegno per le famiglie a basso reddito, che hanno meno mezzi per far fronte all’aumento dei prezzi dell’energia, è quindi una priorità”.
Come intervenire contro il carovita
Le risorse a disposizione dei governi per mitigare l’aumento dei prezzi ai danni delle famiglie si sono fatte più scarse dopo il brusco aumento del debito pubblico seguito alla crisi pandemica. La necessità di riportare la politica economica su una traiettoria prudente, suggerisce l’abbandono di misure di sostegno universali in favore di provvedimenti mirati a “sostenere il reddito per i più vulnerabili”. Questo anche per semplici ragioni di razionalizzazione dei costi: “compensare completamente l’aumento del costo della vita per il 20% meno abbiente delle famiglie costerebbe ai governi lo 0,4% del Pil in media per tutto il 2022”, hanno scritto gli autori, “per compensare completamente il 40% più povero, il costo salirebbe dello 0,9% del Pil”.
Mentre una percentuale mirata delle famiglie dovrebbe essere aiutata contro il carovita, gli economisti del Fmi sono poco propensi a suggerire sostegni a beneficio delle imprese: quest’ultimo sarebbe appropriato “solo se un’impennata dei prezzi di breve durata causasse il fallimento di aziende altrimenti valide… Tuttavia, è difficile attuare un regime di sostegno ben mirato per le imprese senza introdurre distorsioni e senza ridurre gli incentivi alla conservazione dell’energia”. In altre parole, lasciare che le imprese subiscano una bolletta più cara sarebbe necessario a incoraggore un maggior risparmio energetico, considerato strategico in vista del prossimo inverno minacciato dal possibile taglio totale del gas russo. “Poiché si prevede che i prezzi rimarranno alti per diversi anni”, hanno concluso gli autori, “le ragioni per sostenere le imprese sono generalmente deboli”.