L’imposta si applica a tutte le eredità (e alle donazioni tra vivi), con aliquote e franchigie differenziate
Nel 2001 l’imposta sulle successioni fu abolita per poi ricomparire nel 2006
In un recente studio condotto dall’Osservatorio sui conti pubblici dell’Università Cattolica di Milano (OCPI) si affronta una questione particolarmente delicata, che attraversa il dibattito pubblico italiano da decenni: quella dell’imposta sulle successioni.
Da anni, infatti, l’opinione politica è polarizzata tra chi ritiene più utile alzare le aliquote e abbassare le franchigie e chi, al contrario, ritiene che rafforzare l’imposta, e dunque la ricchezza che si riceve per effetto del trasferimento mortis causa sia ingiusto.
Più in particolare, lo studio in esame L’evoluzione dell’imposta sulle successioni in Italia e un confronto a livello europeo mette in rassegna le vicende che hanno trasformato l’imposta nel nostro Paese nel corso degli anni per poi fare un confronto con le aliquote previste in caso di trasferimento di beni per causa di morte negli altri paesi europei.
Insomma, ‘paghiamo’ di meno o di più di prima e, inoltre, siamo tassati di più o di meno rispetto agli altri paesi?
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Le attuali aliquote e franchigie per donazioni e successioni
Come noto, le aliquote e le franchigie sono determinate dal rapporto di parentela tra beneficiario e donante. Più in particolare, l’imposta si applica a tutte le eredità (e alle donazioni tra vivi), con aliquote e franchigie così differenziate:
- 4% per il coniuge e i parenti in linea retta, da calcolare sul valore eccedente 1 milione di euro, per ciascun beneficiario
- 6% per fratelli e sorelle, da calcolare sul valore eccedente 100mila euro, per ciascun beneficiario
- 6% da calcolare sul valore totale (cioè senza alcuna franchigia), per gli altri parenti fino al quarto grado, affini in linea retta, affini in linea collaterale fino al terzo grado
- 8% da calcolare sul valore totale (cioè senza alcuna franchigia), per le altre persone.
Quali trasferimenti sono esenti da imposta?
È esente da imposta il trasferimento di
- titoli di Stato italiani e di altri Paesi UE
- aziende, rami di azienda, quote di controllo in società di capitali, ove i parenti in linea retta o il coniuge proseguono nell’esercizio dell’attività per un periodo di almeno cinque anni dalla data del trasferimento
- TFR e le prestazioni erogate dai fondi di previdenza complementare
- veicoli iscritti nel Pubblico Registro Automobilistico
- polizze vita.
Come è cambiata l’imposta in Italia
Come viene puntualmente spiegato nel report OCPI in esame, l’imposta di successione vera e propria è nata con il DPR 637/1972.
La base imponibile (valore dei beni e dei diritti che compongono l’attivo ereditario al netto delle passività deducibili) era simile a quella attuale, tuttavia le aliquote erano molto più alte e più progressive.
Addirittura, spiega OCPI, per gli eredi diretti (coniuge e figli) l’aliquota massima poteva arrivare al 27 per cento, mentre per chi non era parente poteva arrivare al 33 per cento. Anche le franchigie erano piuttosto limitate.
In questo senso si comprende che prima della riforma introdotta dal governo Amato nel 2000, la tassazione di successioni e donazioni era molto più alta anche in Italia. L’intervento tagliò le aliquote introducendo, al posto di una franchigia unica, un ventaglio di franchigie che (secondo il modello attuale) si differenziano in base al beneficiario. Fu inoltre eliminata la progressività adottando un’aliquota unica variabile tra il 4 e l’8 per cento a seconda del grado di parentela.
Fu invece nel 2001, con il governo Berlusconi, che l’imposta fu completamente abolita.
Si trattò, tuttavia, di un’esperienza temporanea, posto che nel 2006 il governo Prodi la reintrodusse sul modello di quella in vigore prima dell’abolizione (aliquote tra il 4 e l’8 per cento e franchigie individuali elevate), con una struttura rimasta finora invariata.
Il confronto con gli altri paesi europei
Secondo le valutazioni di OCPI, anche se può sorprende, l’imposta sulle successioni e sulle donazioni italiana è caratterizzata da franchigie (ossia esenzioni) elevate e da aliquote basse e poco progressive, se comparate a quelle degli altri paesi.
Altrimenti detto, il gettito derivante dall’imposta sulle successioni e donazioni in Italia (1.043 milioni nel 2022) è parecchio inferiore a quello incassato negli altri principali Paesi europei:
- in Francia nel 2021 il gettito dell’imposta su successioni e donazioni è stato pari a 18,6 miliardi di euro, quattordici volte il gettito italiano in rapporto al Pil
- in Germania 9,8 miliardi
- nel Regno Unito 7 miliardi
- in Spagna 3,5 miliardi.
In buona sostanza, negli altri principali paesi europei il gettito derivante dalle tasse sulle successioni è molto più alto rispetto a quello incassato in Italia. Questi quattro paesi hanno infatti aliquote molto più elevate rispetto a quelle in vigore in Italia (anche superiori al 50 per cento in Francia) e franchigie significativamente più basse.