Se la Commissione europea riuscisse a far passare il divieto alle retrocessioni come forma di pagamento dei consulenti finanziari, le conseguenze andrebbero ben oltre i temi affrontati pubblicamente dagli attori del risparmio in Italia e in Europa. Buona parte della controversia deriva dal notevole impatto che il divieto avrebbe sul giro d’affari dei distributori dei fondi, su un riadattamento del modello di business che ridurrà i profitti societari così come la retribuzione e, probabilmente, anche il numero dei consulenti finanziari in circolazione.
We Wealth ha raccontato sin dagli inizi la discussione a livello europeo: le retrocessioni sono finite sotto la lente dei legislatori europei perché contribuiscono a un incremento dei costi finali (pari al 35%, secondo un report fatto realizzare dalla Commissione). Tali costi, pur essendo obbligatoriamente comunicati al cliente, non sono spesso conosciuti o considerati.
Secondo l’ultima rilevazione Consob, il 42% degli investitori italiani seguiti da un consulente è convinto di non pagare in alcun modo il servizio; e il 57%, comunque, non sarebbe disposto a farlo. Se il pagamento diretto tramite parcella diventasse l’unico modello praticabile per remunerare il consulente finanziario (o assicurativo), come avviene in Olanda e nel Regno Unito, molti clienti nella fascia patrimoniale più bassa probabilmente migrerebbero su altre soluzioni più economiche.
Retrocessioni, per le reti l’addio sarebbe doloroso
La questione è di interesse finanziario (e ragione di possibile preoccupazione) anche per gli azionisti delle principali reti e banche italiane, i cui modelli di consulenza sono remunerati, in buona parte, tramite il meccanismo di retrocessione che la Commissione europea vorrebbe vietare. Quale sarebbe la riduzione dei profitti per le reti di consulenza se venisse tolta loro la possibilità di ricevere retrocessioni dai gestori?
Secondo un report diffuso il primo febbraio da Mediobanca Securities ai suoi clienti, l’effetto aggregato sugli utili pre-tasse sarebbe pari al -15%, sulla base delle simulazioni condotte sulle quattro reti seguite dagli analisti di Piazzetta Cuccia: Fineco Bank, Banca Mediolanum, Banca Generali e Azimut. Questo dato, però, è probabilmente molto ottimistico. Il calo nei profitti pre-tasse arriva al 27%, se si assume che un buon numero di clienti (con in mano il 30% delle masse gestite), cercherà una soluzione più economica se messo di fronte alla necessità di pagare di sua mano una parcella al consulente.
I gestori di fondi, in seguito all’introduzione di un eventuale divieto potrebbero rivedere i costi di gestione dei propri prodotti sottraendo la parte che, fino a quel momento, veniva prelevata dal cliente e “girata indietro” alla banca e al consulente finanziario che ha raccomandato il prodotto. Sarebbe l’ipotesi più semplice per ottemperare al divieto di retrocessione. Questo fenomeno, più o meno in linea con quanto affermato dalla commissaria McGuinness, ridurrebbe i costi di gestione che i clienti pagano al gestore di fondi del 30%.
Mediobanca ipotizza che la consulenza a quel punto, verrebbe proposta ai clienti come un costo annuo aggiuntivo, sopra quello di gestione, pari allo 0,5% del portafoglio per la fascia più bassa della clientela (la fee sarebbe massima nel segmento affluent e intermedia per i portafogli ‘wealth’ oltre i 500mila euro). Questo sistema di riadattamento non compenserebbe la perdita dovuta al divieto alle retrocessioni e potrebbe incoraggiare la ricerca di soluzioni diverse e più economiche per la gestione dei risparmi da parte degli investitori.
Anche se per tutte le società analizzate i margini andrebbero ad assottigliarsi, Fineco risulterebbe la rete meno colpita da un eventuale divieto alle retrocessioni (confermando quanto affermato dallo stesso Alessandro Foti il 7 febbraio) in quanto le commisioni lorde sono già quelle più basse rispetto alle tre concorrenti prese in analisi. A subire il peggior impatto sarebbe, invece, sarebbe Azimut.
Consulenti, piatto meno ricco e rischio esodo
Anche gli stessi consulenti finanziari, dovendo riadattare il modello di remunerazione, finirebbero con dover accettare retribuzioni più magre, in media, del 25%. L’impatto occupazionale che il divieto alle retrocessioni provocherebbe per la professione del consulente, ancora poco discusso, sarebbe potenzialmente notevole. I professionisti potrebbero essere incoraggiati a cercare alternative migliori, mentre le reti, le banche e le assicurazioni potrebbero essere interessate a ridimensionare la propria offerta di consulenza per commisurarla a una domanda che si prevede in calo. In particolare, questo riguarderà di più gli intermediari che assistono prevalentemente i clienti più piccoli, meno propensi a giustificare il pagamento di parcelle per ricevere un servizio di consulenza su somme contenute.