Cosa rende immune l’investitore? Fermiamoci un attimo e pensiamo se questa non sia in effetti una dimensione largamente desiderata dal pubblico di coloro che chiedono a noi consulenti di mettere a profitto i loro patrimoni. Nella nostra veste di consulenti finanziari, in effetti, dovremmo sbilanciarci dicendo loro più o meno così: «Se vuoi investire devi metterti in testa di… coinvolgerti mentalmente, finanziariamente e fisicamente». Perché, davvero, investire è un’esperienza totalizzante in tutte e tre le dimensioni. Esempi ne sono le emozioni più che fisiche che si succedono al sopraggiungere di momenti che interrompono la monotonia dell’arcinoto andamento piatto del conto corrente. Come dire: caro investitore, se lasci i soldi lì non proverai mai nulla. E guarda un po’, esagerando tale fissità, si insiste nella scelta alludendo al lasciare “fermi sul conto” i risparmi, quasi volendo suggerire a quell’investitore che se vorrà minimamente sentirsi vivo dovrà per forza… muoversi da quella stasi.
Dall’altra parte, se decidi di investire, succederà qualcosa, vedrai qualcosa, nel bene e nel male. Guardando l’investimento nel suo coinvolgimento non solo finanziario, l’immunità sembra proprio impossibile. Assunto il fatto che nel momento stesso in cui l’investitore accetta, non può che subirne l’inevitabile contagio. Assolutamente ricco di emozioni. Ma da cosa, veramente, l’investitore vorrebbe essere immune, investendo? Se nel momento stesso in cui segue il consiglio del suo consulente (fermiamoci a questa che rappresenta la situazione che ho davanti agli occhi tutti i giorni), accetta di vivere una dimensione di impossibile assenza di movimenti sia finanziari che conseguentemente emotivi, proprio perché nel suo sì ha rinunciato alla fissità del conto corrente, ebbene da cosa vorrebbe mantenersi tuttavia assolutamente immune? Chiedendolo a chiare lettere al consulente: dalla perdita, mai in verità dal guadagno.
Sembra scontato dirlo, ma in realtà non è raro il caso in cui l’investitore nella foga di avanzare il suo assunto irrinunciabile di non voler perdere, si lasci andare a una più che evidente menzogna. Mai sentito dire a costoro: «Guardi, voglio qualcosa che piuttosto non mi faccia guadagnare niente ma non mi faccia perdere”?». A me capita continuamente. Salvo poi, poco dopo, vedere questi clienti, che rinunciano sia a perdite che a guadagni – quasi avessero scelto un investimento camuffato da conto corrente – lamentarsi per non aver appunto guadagnato se non quel niente annunciato, in confronto ai guadagni di amici e conoscenti anche remoti, solo per confermare che il consiglio del consulente non avrebbe dovuto essere così scommettente al ribasso nei loro confronti.
La vera immunità richiesta e pretesa da parte dell’investitore è dunque solo quella dalla parola più temuta. Si chiama perdita. Perdita di capitale.
E poi, la scelta di alcuni strumenti piuttosto che altri potrebbe non essere subito – e sottolineo subito – quella corretta.
Tuttavia, non c’è scampo per noi consulenti: questo è il tema dell’investitore: e qui finalmente parliamo di un tema proposto dal nostro cliente, e non di uno dei nostri (sempre di noi consulenti finanziari) amatissimi e ridondantissimi temi di investimento, che forse è il caso di mettere nuovamente al centro di una particolare attenzione proprio ora che, finanziariamente parlando, è già l’ora che volge il disio.
Perché, non possiamo negarlo, sembra che ultimamente i tempi stiano volgendo verso una svolta che presto o tardi avverrà nei mercati orientati a seguire i suggerimenti dell’inflazione, e, guarda caso, l’investitore quasi non perde occasione per rimarcare il suo unico tema, che suona quasi come una sentenza caustica cui il consulente deve sottoporsi, per dimostrare la sua… performance. «Accetto di seguirla, ma non voglio perdere». Ebbene di fronte a questa “sfida dell’immunità dalla perdita”, come si cerca di rispondere nella consulenza finanziaria? So che è come aprire il vaso di Pandora, ma mi prendo questa licenza.
Vediamo le risposte più comuni:
- Non si preoccupi (penso che questo verbo non dovrebbe mai essere proferito dal consulente che anzi dovrebbe esortare sempre il suo cliente non dico a preoccuparsi ma senz’altro a tenere d’occhio i suoi investimenti e le relative performance).
- L’asset è corretto. Adeguato. Frasi come questa sono senz’altro mifid compliant e non errate dal punto di vista formale, ma non comunicano nulla al cliente. È come dire ad un paziente di prendere una medicina perché è quella giusta, salvo poi di fronte al malessere riscontrato a seguito dell’assunzione non saper dire altro che «si fidi, è corretto il rimedio».
- Gli strumenti sono ottimi. Guardi le performance. Qui entrano in campo le valutazioni sino a quel momento ed è giusto appellarsi ad esse. Evito di considerare che vi siano consulenti che non sappiano scegliere cosa sia meglio per il loro cliente. La formazione che ci riguarda è davvero sempre più completa e costante, e veniamo assediati dalle Case prodotto che ci fanno capire perché scegliere uno strumento piuttosto che un altro. Ma come sempre, le performance storiche non sono garanzia di quelle future, è scritto nei prospetti degli strumenti finanziari.
Sono solo tentativi. Tentativi di garantire la benedetta immunità dalle perdite che l’investitore chiede e sta ultimamente ritematizzando sempre di più, quasi profetizzando il ritorno di trascorsi non lieti. E nessuno di questi tentativi, di fatto, fa appello all’unica assunzione che si possa veramente fare in consulenza, senza incorrere nel vizio di prese di responsabilità impossibili («Non si preoccupi»), o di assiomi che potrebbero essere sconfessati dalla realtà dei fatti (anche l’asset più corretto può essere stravolto da movimenti di mercato), o di endorsement azzardati relativi a strumenti finanziari che si sono scelti per il portafoglio del cliente (anche lo strumento migliore può avere effetti devastanti, se ricordiamo cosa è successo a marzo 2020 non possiamo non riconoscere che davvero non si sia salvato nulla o quasi).
Perché, pensandoci, vi è un’unica cosa che si evita spesso di dire, in consulenza, proprio perché noi consulenti la riteniamo banale, forse perché troppo trascinati dal mondo spettacolare e iper marketizzato della consulenza finanziaria, quasi pensassimo di rischiare di passare per livello troppo basic. Quando invece, riflettendoci, è proprio quando non ci si attiene ad essa come la fondamentale condizione, imprescindibile per far emergere il valore degli investimenti, è proprio quando la si sconfessa, che i portafogli subiscono le più grandi sventure di performance e i rispettivi titolari le più grandi perdite.
Parliamo del tempo. Solo del tempo.
Ma allora la domanda vera è: sappiamo parlare al cliente di questa variabile?
Alla prossima!