In caso di divorzio, a certe condizioni, l’ex coniuge ha diritto al Tfr
La determinazione va effettuata non solo alla luce degli anni di matrimonio ma anche in virtù della convivenza
Tfr: di cosa si tratta?
Il Trattamento di Fine Rapporto (TFR) è un istituto regolato dall’art. 2021 c.c. che stabilisce che in ogni caso di cessazione del rapporto di lavoro subordinato, il lavoratore ha diritto all’importo che anno per anno è stato accantonato durante tutto il periodo di impiego, con funzione di “risparmio”.
Il datore di lavoro, infatti, accantona annualmente una cifra pari alla retribuzione lorda annua, divisa per 13,5 e dunque l’ammontare dell’importo complessivo dipende dalla durata del rapporto di lavoro.
I diritti dell’ex coniuge sul Tfr
Ma titolare di tale diritto non è solo il lavoratore. Titolare è anche l’ex coniuge nell’ottica del legislatore di fortificare il legame di solidarietà tra i coniugi anche quando il matrimonio non va a buon fine.
L’art. 12-bis, primo comma, della legge sul divorzio stabilisce infatti che “Il coniuge nei cui confronti sia stata pronunciata sentenza di scioglimento o di cessazione degli effetti civili del matrimonio ha diritto, se non passato a nuove nozze e in quanto sia titolare di assegno ai sensi dell’art. 5, ad una percentuale dell’indennità di fine rapporto percepita dall’altro coniuge all’atto della cessazione del rapporto di lavoro anche se l’indennità viene a maturare dopo la sentenza”.
I requisiti necessari per poter godere del diritto a tale quota sono:
- aver divorziato
- non essere passati a nuove nozze
- essere percettori dell’assegno divorzile
Non ha rilievo quindi la separazione: il coniuge separato, infatti, non può vantare alcun diritto ad una quota del TFR del coniuge avente diritto.
La determinazione della quota spettante all’ex partner
In merito alla modalità della determinazione della quota da riconoscere all’ex coniuge, il secondo comma dell’art. 12-bis della legge sul divorzio stabilisce che si applica una percentuale pari al 40% all’indennità totale riferibile agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio; il periodo di matrimonio da prendere in considerazione per il calcolo della quota di Tfr comprende anche il periodo della separazione.
Nello specifico la Corte di Cassazione ha chiarito che l’indennità dovuta si ottiene dividendo l’indennità percepita per il numero di anni in cui è durato il rapporto di lavoro, moltiplicando il risultato per il numero degli anni in cui il rapporto di lavoro sia coinciso con il rapporto di matrimonio e calcolando il 40% su tale importo al netto di eventuali anticipi ricevuti.
La Cassazione ha specificato che nell’applicazione dell’art. 12-bis L. 898/1970, non deve tenersi conto delle anticipazioni del Tfr percepite dal coniuge durante la convivenza matrimoniale o la separazione personale, per essere quelle anticipazioni entrate nell’esclusiva disponibilità dell’avente diritto (Cass. 19427/2003; Cass. 19046/2005). L’art. 12-bis L. Divorzio garantisce al coniuge beneficiario la corresponsione di una quota di Tfr, calcolata sulla somma che viene corrisposta al lavoratore, successivamente alla sentenza di divorzio al netto delle anticipazioni.
Del pari non dovranno essere tenute in considerazione ai fini della quantificazione della quota, le somme destinate dal lavoratore al fondo di previdenza complementare.
L’art. 12-bis della legge sul divorzio afferma, infatti, che l’ex coniuge ha diritto “ad una percentuale dell’indennità di fine rapporto percepita dall’altro coniuge all’atto della cessazione del rapporto di lavoro”. Il Tfr destinato al fondo di previdenza complementare, invece, non si percepisce all’atto della cessazione del rapporto di lavoro; le somme che vengono liquidate, infatti, hanno natura di pensione integrativa ai sensi dell’art. 2123 del codice civile.
“Il diritto dell’ex coniuge a una quota del TFR dell’ex congiunto, ai sensi dell’art. 12-bis l. 898/1970, non compete con riguardo a quelle somme che risultino essere destinate a un fondo di previdenza complementare” è quanto ha affermato il Tribunale di Milano con sentenza del 18 febbraio 2017.
Diverso, invece, per le somme ricevute dal lavoratore come “incentivo all’esodo” che secondo parte maggioritaria della Cassazione vanno conteggiate. Nella recentissima ordinanza interlocutoria n. 12014/2023, depositata lo scorso 8 maggio 2023, la Cassazione chiarisce come in caso di divorzio sono assoggettate alla disciplina di cui all’art. 12 bis della legge n. 898 del 1970 anche le somme corrisposte dal datore di lavoro come incentivo alle dimissioni anticipate del dipendente (cd. incentivi all’esodo). E questo perché dette somme non hanno natura liberale né eccezionale ma costituiscono reddito di lavoro dipendente, essendo previste con lo scopo di “sollecitare e remunerare” il consenso del lavoratore alla risoluzione anticipata del rapporto. Poiché tale aspetto è oggi di massima importanza, non potevano che essere investite le Sezioni Unite.
Chiarito invece l’aspetto che per lungo tempo ha infiammato gli animi di tante donne, vale a dire la modalità di ripartizione del TFR tra coniuge superstite e coniuge divorziato.
L’art. 2122 del codice civile prevede che le indennità devono corrispondersi a favore del coniuge, dei figli e dei parenti entro il terzo grado e degli affini entro il secondo grado, se vivevano a carico del prestatore di lavoro e se il lavoratore era già stato sposato e versava all’ex coniuge un assegno divorzile, questi avrà il diritto ad una quota di TFR dell’ex coniuge divorziato.
Il diritto ad una quota del TFR dell’ex coniuge divorziato concorrerà, quindi, con il diritto dell’altro soggetto con cui l’ex coniuge defunto si era risposato.
Se, infatti, quanto alla determinazione delle quote da attribuirsi in capo ai legittimati in concorso con il coniuge divorziato, in un primo tempo la Corte di Cassazione aveva sostenuto che per la ripartizione del TFR doveva aversi riguardo alla durata dei rispettivi matrimoni, oggi i giudici di legittimità valorizzano anche gli anni di convivenza.
In particolare, gli Ermellini erano stati investiti della questione a seguito di una pronuncia della Corte d’Appello di Potenza che aveva previsto l’assegnazione della somma pari al 40% dell’intera indennità a favore del coniuge divorziato già beneficiario dell’assegno divorzile, sulla base dei soli anni di matrimonio coincisi con il rapporto di lavoro, e limitandosi poi a suddividere la restante somma tra il coniuge superstite e i figli secondo lo stato di bisogno di ciascuno di essi.
Ai fini, inoltre, della determinazione a favore del coniuge superstite, la Corte territoriale aveva tenuto conto dei soli anni di matrimonio trascorsi senza tuttavia tenere in considerazione anche la durata della convivenza.
La Corte di Cassazione con l’ordinanza 21247/2021 è intervenuta chiarendo invece che il giudice di merito avrebbe dovuto quantificare le quote dapprima tra il coniuge superstite e gli altri aventi diritto ai sensi dell’art. 2122 comma 1 c.c. e solo successivamente determinare la quota spettante al coniuge divorziato in ragione del criterio rappresentato dalla durata del matrimonio così come previsto dall’art. 9 comma 3 della legge sul divorzio unitamente agli altri criteri giurisprudenziali tra cui anche la convivenza stabile ed effettiva.
La quota del coniuge divorziato, in altre parole, avrebbe dovuto insistere ed incidere eventualmente sulla quota del coniuge superstite, senza che questa venisse calcolata autonomamente sulla sola base del 40% così come previsto dalla legge.
La Corte di Cassazione, pertanto, cassando con rinvio alla Corte d’appello di Potenza in diversa composizione ha enucleato il principio di diritto secondo il quale “in tema di regolazione della crisi coniugale, mentre l’art. 12 bis della legge 898/70 si inserisce nella regolamentazione dei rapporti patrimoniali tra coniugi divorziati prevedendo che l’ex coniuge divorziato abbia diritto, se non passato a nuove nozze e in quanto sia titolare di assegno divorzile, ai sensi dell’art. 5, ad una percentuale della indennità di fine rapporto percepita dall’altro coniuge e tale percentuale è pari al quaranta per centro dell’indennità totale riferibile agli anni in cui il rapporto di lavoro è coinciso con il matrimonio; l’art. 9, comma 3, della legge 898/70 regola il caso del concorso con il coniuge superstite, aventi i requisiti per la pensione di reversibilità, e stabilisce che una quota della pensione e degli altri assegni a esso spettante sia attribuita al coniuge divorziato, che sia titolare dell’assegno divorzile”. La determinazione va effettuata non solo alla luce degli anni di matrimonio ma anche in virtù della convivenza laddove il coniuge interessato provi la stabilità e l’effettività della comunione di vita precedente al proprio matrimonio con il lavoratore deceduto.
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