Il panorama digitale cambia e l’Ue segue questo cambiamento disciplinandolo
Nell’Ue esistono oltre 10 000 piattaforme, di cui oltre il 90% sono piccole e medie imprese
Negli ultimi anni le piattaforme digitali sono diventate parte integrante della nostra quotidianità, al punto che è difficile accedere a numerosi servizi essenziali, pubblici e privati, senza ricorrere ai dispositivi tecnologici.
E invero, se l’integrazione delle piattaforme nella vita quotidiana di certo porta con sé numerosi vantaggi per individui e imprese (offrendo, ad esempio, nuove opportunità commerciali e inediti canali di comunicazione), allo stesso tempo, è un fatto che il potere sempre maggiore detenuto dai big del digitale schiaccia le imprese di piccole dimensioni, sottoposte a pressioni maggiori e minori tutele.
In questi termini, ormai da anni, si discute della necessità di una cornice normativa armonizzata a livello europeo idonea a tutelare con gli stessi livelli le imprese del digitale e rendere effettiva, e non soltanto proclamata, la parità di condizioni. Per garantire una concorrenza equilibrata, però, è appunto dalle norme che bisogna partire. In effetti, le numerosissime società commerciali digitali (nell’Ue esistono, attualmente, oltre 10.000 piattaforme, di cui il 90% rappresenta piccole e medie imprese) si devono districare con 27 diverse regole nazionali, tante quanti sono gli Stati europei.
Sul punto è recentemente intervenuta la Commissione per il mercato interno (Imco) al Parlamento europeo, la quale ha preso posizione sulla proposta di legge sui servizi digitali (Dsa) che, insieme alla legge sui mercati digitali (Dma) mira ad armonizzare le responsabilità delle piattaforme online. Più in particolare, la Dma proibisce alcune pratiche utilizzate dalle grandi piattaforme che agiscono come gatekeeper e permette alla Commissione di realizzare indagini di mercato e di sanzionare i comportamenti non conformi.
Attraverso il Digital markets act, Dma, si mira a contrastare la posizione dominante ricoperta da alcune piattaforme che, nei fatti, sono detentrici – nei relativi settori di appartenenza – di un vero e proprio monopolio. Circostanza questa che, inevitabilmente, limita l’accesso al mercato alle imprese concorrenti, ma più piccole.
Le aziende più grandi del digitale (ad es. le cd. GAFA, Google, Amazon, Facebook, Apple), in buona sostanza, potrebbero dovere, nel brevissimo futuro, fare i conti con nuove regole e nuovi parametri idonei a ridimensionarne lo strapotere. Ad esempio, si pensa di introdurre il divieto di posizionare nei primi risultati delle ricerche i servizi riconducibili soltanto alle grandi aziende; si propone inoltre di eliminare la possibilità di disinstallare un software o una app preinstallata su un dispositivo nuovo. Al gatekeeper che non rispetta le norme, la Commissione potrebbe, inoltre, infliggere ammende “non inferiori al 4% e non superiori al 20%” del suo fatturato mondiale totale dell’esercizio precedente.
Le regole dovrebbero essere imposte solo nei confronti delle società con un fatturato annuo di almeno 6,5 miliardi di euro negli ultimi tre anni e una capitalizzazione di mercato di 65 miliardi di euro nell’ultimo esercizio.
Si prospettano, pertanto, per il futuro delle aziende piccole e di medie dimensioni che operano nel digitale, orizzonti migliori: caratterizzati da un accesso al mercato più agevole e nuove tutele. Anche per queste ragioni, investire in start-up e società che operano nel digitale, può rivelarsi una scelta interessante, in quanto il momento sembra essere positivo.