C’era una volta il gin. “Brodaglia” a basso costo ben lontana dai blasonati cognac che deliziavano il palato della nobiltà ancien régime. Il distillato di ginepro – le cui origini sono dibattute fra Italia e Olanda, ma che importa? – veniva usato per pagare le truppe militari e smorzarne la fame: non aveva alcun’aura di eleganza. Ai giorni nostri invece è sinonimo di alta creatività culinaria, sofisticati abbinamenti gourmet, gusto del buon vivere. Per alcuni, è stato l’occasione di un cambio radicale di vita, in meglio. Come per Attilio Cillario, avvocato per trent’anni in piazza Duomo a Milano, oggi mastro di questo elisir botanico, “l’unico alcolico con una ricetta”. Lo chiamo per la prima volta che siamo ancora in pieno lockdown. “Pensi che sto facendo in contemporanea quattro gin diversi”, esordisce.
“Uno richiama la mostarda mantovana: oltre alle botaniche classiche ci sono dentro l’arancio di Ribera, il nostro timo, pere mantovane, senape, anice stellato, miele di tiglio, menta; l’altro è al tarassaco; poi c’è un pepato con tre pepi diversi e una distillazione di arancio di Ribera. L’ultimo è un gin per una catena di pizzerie con pomodoro, origano, alga wakame”. Dalle sue parole riecheggia tutta la creatività e la versatilità italiana, per non dire l’originalità. “I nostri gin, per quanto possano apparire ‘strani’, mantengono sempre le loro caratteristiche classiche. Nelle mie composizioni sto sempre attento a non prevalere sul ginepro. La base è sempre London Dry, ovvero prodotta in un’unica distillata, senza aggiunte di zucchero. Poi la si addiziona con gli infusi che produciamo noi”.

Ma com’è che un avvocato penalista dalla solida professione trentennale, con studio in piazza Duomo a Milano, diventa un alchimista del gin? “Tutto è successo davvero per caso. Il mio amico e ora socio Gigi Marazzi intorno al 2012 chiese il mio supporto per una questione amministrativa. Al mio rifiuto di ricevere un compenso, pensò bene di regalarmi un alambicco da 100 litri”. Come, un alambicco? “Si. A volte mi capitava di distillare grappa o acquavite di frutta per smaltire le eccedenze di produzione di frutta ed erbe della mia casa di campagna, una piccola azienda agricola. Gigi naturalmente lo sapeva e mi ‘sfidò’ con un alambicco. Ma io non mi ero mai cimentato con la produzione di gin. Le prime prove di produzione furono tutt’altro che un successo. Devo ringraziare la diplomazia e il tatto dei miei amici che si prestarono agli assaggi”.

Poi, un giorno, è arrivato il salto di qualità. “Si. Quella volta fu diverso. Un amico, nel sorseggiare l’ultimo gin mi disse: tu non puoi non venderlo. Intanto ci eravamo attivati per la licenza, che arrivò nel giugno 2017. Di là a pochi mesi, eravamo al Gin Day di Milano”.

Iniziano gli eventi, arrivano i primi clienti che chiedono di poter lasciare alla Cillario&Marazzi la propria email per non perdersi le novità; il passaparola corre, arrivano le richieste da parte dei ristoranti più blasonati e dei bartender più noti. Solo per fare alcuni nomi: Grand Hotel et des Palmes (Palermo), Metropol (Taormina), Torre Maizza (Fasano), Molino Stucky (Venezia), Don Gino di Vincenzo Donatiello (sommelier del prestigioso Piazza Duomo di Alba), Il luogo di Aimo e Nadia (Milano), Villa Serbelloni (Bellagio), il Trussardi Cafè (Milano), il Dry (Milano), The Butcher / Macellaio Milano di Roberto Costa, Villa Frua (Stresa). Le etichette sono tutte personalizzabili, ma esistono anche quelle marchiate Cillario&Marazzi, via via più richieste. “Chiediamo sempre al cliente di venire qui da noi (Cadegliano Viconago, a un passo dalla Svizzera, ndr) per creare insieme la ricetta più indicata”.

Ciascun gin contiene dalle 16 alle 26 botaniche diverse, e nessuna prevale sul ginepro. Molta richiesta arriva per la regalistica aziendale natalizia. “Chi viene da noi, acquista un’esperienza, non del semplice gin”. I clienti per la maggior parte sono italiani, ma l’azienda vende anche all’estero, ad accisa assolta.
“Ma, ripeto, è successo tutto per caso. O meglio, con naturalezza, senza aver programmato nulla. Mi sento un Forrest Gump. Quando ho iniziato a distillare le prime botaniche non pensavo che a qualche gin tonic da bere al mare in compagnia”. Nel 2019 la Cillario&Marazzi ha prodotto 7500 bottiglie. Durante i lunghi mesi di lockdown ha continuato a vendere grazie alle email accumulate. “Non siamo una fabbrichetta però, piuttosto l’antro di un alchimista: lavoriamo in 50 metri quadri”. Così si definiscono i due soci: una distilleria sartoriale, in grado di lavorare piccoli lotti.
A differenza dei classici spiriti da collezione (whisky, cognac, armagnac), il gin non è un prodotto che richiede maturazione. “Sarebbe un po’ una forzatura. Il segreto della sua bontà sta nella freschezza. Le note delle infusioni si perderebbero con la stagionatura. Non ha bisogno di trascorrere anni in barrique: è pronto in due settimane. La qualità dipende da come viene lavorato l’alcol di cereali. Dal punto di vista imprenditoriale è un vantaggio”.
Al gin si sono aggiunti un vermouth, un cassis, un bitter. Ma il cuore di questa avventura resta il gin, con la sua magica armonia di botaniche. “Non siamo solo noi a produrre nel nostro giardino gli ingredienti. Tanta ispirazione ci arriva dai clienti. Alcuni per esempio ci mandano il basilico da Pra, erbe lagunari o marine… Chi è che lo diceva? Tutti credono che gli scrittori abbiano una grande fantasia. In realtà tutto ciò che scrivono, glielo raccontano gli altri”.