sedici anni fa ha dato alla luce un bambino, Josè, e che il padre è lui.
– la disponibilità di un immobile da utilizzare come residenza e il sostentamento di tutte le spese ordinarie e straordinarie legate all’utilizzo dello stesso;
– l’avviamento ad un’arte o ad una professione o il sostegno di iniziative imprenditoriali funzionali ad inserirlo nel mondo del lavoro;
– cure e assistenza in caso di malattia o incapacità, anche mediante la stipula e il pagamento a cura del trust di una polizza sanitaria.
Inoltre, il trust prevede al momento del decesso di Francesco la corresponsione di una certa somma di denaro a Josè (corrispondente alla quota di legittima che sarebbe a lui spettata in eredità se quest’ultimo l’avesse riconosciuto come figlio naturale) affinché il ragazzo non abbia ad essere penalizzato in alcun modo dalla situazione. Il trust, contestualmente alla sua istituzione, è stato dotato da parte di Francesco della liquidità necessaria per attuare le finalità sovraesposte e guardiano dello stesso è stato nominato il compagno della defunta Carmen, che già da tempo si occupa di lui con amore e devozione.
Nel caso in cui Josè dovesse premorire prima del sopravvenire del termine finale di durata del trust e non abbia procreato discendenti, il trustee con i beni residui istituirà un nuovo trust a
vantaggio di Riccardo, l’altro figlio di Francesco e, in mancanza dello stesso, dei di lui discendenti. L’istituzione del nuovo trust si rende necessaria al fine di assicurare all’operazione precedente la massima riservatezza. Casi come quello di Francesco di figli naturali non riconosciuti sono ancora diffusi in Italia anche se sono ormai più di quaranta anni che la legge italiana equipara a tutti gli effetti i figli nati fuori dal matrimonio ai figli legittimi e che, anche se un genitore non vuole riconoscere un figlio naturale, il figlio stesso ha gli strumenti giuridici per ottenere giudizialmente tale riconoscimento ed i diritti che ne derivano.
Le motivazioni di tale scelta il più delle volte si rinvengono in esigenze di riservatezza legate al buon nome della famiglia del genitore o alla particolare carica o funzione da esso rivestita: chiaramente, tale assetto di interessi è condiviso anche dal figlio che non viene riconosciuto, il quale si accontenta di ottenere un beneficio economico piuttosto che addentrarsi in una lunga causa giudiziaria. I mezzi tradizionali messi in atto per riconoscere tale beneficio economico fino a qualche decennio fa sono stati prevalentemente quelli classici dell’intestazione diretta in vita o della destinazione post mortem tramite testamento da parte del genitore di alcuni beni in capo al figlio non riconosciuto. Parimenti diffusa è in questi casi anche la stipula di polizze assicurative aventi come assicurato il genitore e come beneficiario il figlio non riconosciuto. Ben noti sono, però, i limiti di questi strumenti. Per l’intestazione diretta di beni basti pensare al fatto che la stessa sicuramente fa venir meno o, comunque, attenua di molto l’esigenza di riservatezza,
soprattutto laddove trattasi di beni immobili o mobili registrati o partecipazioni societarie per l’ovvia pubblicità che accompagna tali passaggi senza pensare a casi di premorienza dei figli ai genitori.
Parimenti, anche la “polizza”, pur assicurando riservatezza ha i suoi svantaggi, basti solo pensare al fatto che alla morte dell’assicurato i beni vanno automaticamente al beneficiario (anche se incapace o minorenne) e che non è possibile subordinare il beneficio economico da essa derivante al raggiungimento di una certa età o di alcuni traguardi da parte del beneficiario. Ne consegue il crescente interesse manifestato per il trust in questi ultimi anni da parte di una platea sempre più diffusa di utilizzatori come testimonia il caso oggi raccontato.
Articolo tratto dal magazine di Aprile 2020