Con un’esperienza ventennale in Unicef e non solo, Simonetta Schillaci è l’entusiasta vice presidente del Fondo Filantropico Italiano, veicolo nato nel 2020 su iniziativa di Fondazione Dynamo Camp e Fondazione Vita per diffondere e semplificare la filantropia strategica in Italia. Noi l’abbiamo intervistata.
Cosa fa il Fondo Filantropico Italiano?
Uno strumento efficace per diffondere e aumentare la portata della filantropia, nella consapevolezza che in Italia c’è spazio per donare di più. Potrebbe sorprendere scoprire che l’italiano non è poi così proteso a donare. In Italia si dona sette-otto volte in meno rispetto ad altri paesi europei o agli Usa. Oltre alla cultura economica manca quella filantropica, nonostante ci sia una ricchezza finanziaria di 5600 miliardi di euro. Anzi, in percentuale, coloro che hanno di più sono quelli che donano meno. Le donazioni sono piccole, si fanno a pioggia, per spinta emotiva o relazioni personali.
Il Fondo Filantropico Italiano nasce per intermediare le grandi donazioni seguendo un modello di successo all’estero, il “donor advised fund” (Daf). Il Daf è uno strumento che permette di sostenere progetti filantropici personalizzati senza costituire nuovi enti o fondazioni, essendo gestito professionalmente da una fondazione ‘ombrello’, qual è il nostro Fondo Filantropico Italiano. Grazie al Daf, il donatore può sostenere progetti filantropici vicini ai suoi desideri e alle sue sensibilità, riducendo oneri e costi di gestione, di cui si fa carico la fondazione ombrello. Tutte le erogazioni destinate al Daf sono detraibili o deducibili a norma di legge. Ogni fondo ha un proprio nome (ma può essere anche anonimo), funzionamento e modello di governance, tutti stabiliti dal donatore.
Una persona abbiente (e generosa) come vi approccia?
Di solito la prima persona con cui si interagisce è proprio il banker. Oggi la filantropia entra a pieno titolo nel mondo del wealth management. È importante che il consulente sappia della nostra esistenza nella sua attività professionale, in modo da poterci indirizzare il cliente. Il nostro team è in grado di intercettare il desiderio del futuro filantropo, di capirlo. E, se serve, di riallinearlo: perché magari a volte può capitare che esso non cada dove ce ne sarebbe più bisogno. In Italia c’è un numero altissimo di organizzazioni non profit. Il più delle volte nascono fondazioni senza che sia necessario. Occorre però valutare gli enti. Noi siamo in grado di farlo, grazie alla nostra attività di due diligence. Quando le donazioni sono molto consistenti, è assolutamente necessario. Lo strumento del fondo filantropico permette di donare bene, e di capire cosa si sta facendo.
E poi ci sono i patrimoni senza eredi.
Dai dati di Fondazione Evaluation Lab, sappiamo che sono attesi nel 2030 patrimoni senza eredi per circa 20,8 miliardi. Nel 2040 saranno più di 80 miliardi. Vanno intercettati, prima di tutto nell’interesse sociale. La propensione a fare testamento in Italia è pari al 12%. Ci troviamo in un Paese in cui ci sono dei bisogni sociali urgentissimi, che possono, se non essere risolti, essere alleviati dal terzo settore. È il terzo settore che si prende cura di molti anziani soli, che va nelle strade con programmi di lotta contro la povertà, che, certe volte, riesce a dare accesso alle cure mediche a chi altrimenti non potrebbe averlo. La necessità di intercettare questi patrimoni è però anche commerciale. Quando un banker perde il suo cliente, ha perso anche tutte le sue masse: dopo dieci anni vengono requisite dallo Stato. Nel caso di istituzione di fondo filantropico, ciò non accade.
Come si istituisce un fondo filantropico?
Con una donazione modale. Io, filantropo, decido di dare tot euro per istituire un fondo. L’iter è: notaio, atto costitutivo, regolamento per le linee guida. Ogni Daf ha un suo comitato di gestione, una sorta di consiglio di amministrazione, in cui si possono inserire persone di fiducia, anche stretti familiari.
Come funziona il Fondo Filantropico Italiano?
È un fondo di fondi, che ne gestisce altri, ciascuno con un conto corrente dedicato aperto presso la banca di fiducia del filantropo. Se l’attività filantropica è pianificata in modo strategico, evita lo svuotamento repentino delle masse donate; il banker continua nella sua attività di gestione. Soprattutto, il donatore non è solo, ma affiancato da almeno tre persone: un responsabile progetti, un direttore, un responsabile amministrativo.
Con quali banche vi interfacciate maggiormente?
Jp Morgan, Intesa private, Mediolanum, Credit Agricole, Indosuez, Ubs. Altri colloqui sono in corso.
Un identikit del filantropo-tipo?
La filantropia è donna. Molte delle nostre donatrici lo sono. Quello della violenza, dell’uscita delle donne da situazioni di costrizione fisica, economica, psicologica, è un tema oggi molto sentito. Il numero maggiore di fondi ce l’abbiamo a favore delle donne. Sotto ogni punto di vista: dell’istruzione, anche finanziaria, e della protezione personale.
La commissione media per i servizi che prestate dipende dall’ammontare donato?
No, è misurato sul tipo di lavoro che si fa. A una organizzazione che non ha costi, personalmente non donerei mai.