Si definisce in senso favorevole il contrasto sul rimborso dell’euroritenuta, l’imposta pagata sulle attività finanziarie detenute all’estero non inserite nella dichiarazione dei redditi. La Corte di Cassazione con una serie di sentenze emesse a gennaio e a febbraio di quest’anno sembra aver chiuso la partita tra contribuenti e Erario esprimendosi a favore dei primi (sentenze n. 738/2023, n. 798/2023, n. 977/2023, n. 1002/2023, n. 2964/2023, n. 3590/2023 e n. 3595/2023). Per coloro che hanno aderito alla “voluntary disclosure”, e hanno quindi chiesto il rimborso delle imposte pagate all’estero (prevalentemente in Svizzera), sugli stessi redditi finanziari oggetto dell’emersione spontanea in Italia, pure qui assoggettati a imposizione, spetta quindi il rimborso.
Rimborso euroritenuta: buone notizie per chi ha aderito alla voluntary disclosure
Le diverse sentenze sul tema emesse dalla Suprema Corte mettono ordine dopo una serie di pronunce di merito non univoche in materia. La parola fine è contenuta in un principio di diritto ripetuto in tutte le sentenze citate in base al quale deve riconoscersi il diritto al rimborso dell’euroritenuta pagata all’estero sugli interessi maturati sul conto corrente acceso presso una banca svizzera da un soggetto fiscalmente residente in Italia che abbia aderito alla procedura di “collaborazione volontaria” e mediante la dichiarazione confessoria spontanea abbia regolarizzato le annualità accertabili usufruendo di un trattamento sanzionatorio più favorevole.
E ciò in applicazione della normativa comunitaria (art. 14 della direttiva 2003/48/CE, come recepita nell’ordinamento italiano dall’art. 10, D. Lgs. 18 aprile 2005 n. 84, attuativo della citata direttiva, che costituisce disciplina normativa speciale prevalente su quella interna) perché, diversamente, si verificherebbe una doppia imposizione. Doppia imposizione sul medesimo reddito vietata dalla direttiva comunitaria istitutrice della euroritenuta e dal nostro ordinamento.
Dal 2015 in avanti gli uffici territoriali dell’Agenzia delle Entrate hanno difeso strenuamente il divieto al rimborso con argomentazioni oggi tutte respinte dalla Corte.
La non modificabilità della dichiarazione di collaborazione volontaria – eccezione questa sempre sostenuta dagli uffici per motivare il diniego al rimborso delle imposte – riguarda in realtà il contenuto della dichiarazione confessoria, cioè l’indicazione degli investimenti e delle attività di natura finanziaria costituiti o detenuti all’estero, anche indirettamente o per interposta persona, nei periodi d’imposta oggetto di regolarizzazione, unitamente ai documenti ed elementi necessari alla ricostruzione dei redditi connessi, secondo i giudici. Tale irretrattabilità non preclude però al contribuente di richiedere il rimborso dell’euroritenuta precedentemente versata, in conformità con quanto previsto dalla normativa comunitaria in materia, così come attuata nell’ordinamento italiano.
Euroritenuta, come ottenere il riconoscimento del credito d’imposta
Ciò che rileva ai fini del riconoscimento del credito d’imposta è la circostanza che il contribuente abbia provveduto ad integrare la propria dichiarazione dei redditi per correggere errori od omissioni, mediante una successiva dichiarazione – il che è analogo a ciò̀ che avviene con il meccanismo della voluntary disclosure.
In realtà, il pagamento delle imposte calcolate con la voluntary disclosure si configura come una doppia imposizione se si considerano anche le imposte pagate all’estero.
La Svizzera, infatti, era tenuta a girare all’Italia le imposte applicate ai correntisti italiani allorquando non era operativo lo scambio automatico delle informazioni circa la residenza degli investitori. Quindi l’Erario italiano ha incassato due volte le imposte sullo stesso reddito.
Per l’Agenzia delle Entrate si tratta di un duro colpo. Non è trascurabile la mole dei giudizi attivati dai contribuenti e che ora hanno diritto al rimborso delle imposte maggiorate degli interessi nel frattempo maturati e delle spese di giudizio che pure vedono soccombente l’Erario nei giudizi di legittimità (da 1.600 a 5.400 euro per singolo caso). Sarebbe quindi opportuno un passo indietro dell’amministrazione finanziaria nei casi non ancora decisi con una rinuncia agli atti e un provvedimento di rimborso in autotutela.
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