Con una recente ordinanza, la Corte di Cassazione (n. 24103 del 2024) ha affrontato una questione particolarmente interessante, che ha tuttavia come oggetto una questione abbastanza ordinaria, legata alla richiesta da parte di un ex coniuge di ottenere dall’altro l’assegno divorzile.
In particolare, i giudici della Suprema Corte hanno messo in evidenza alcuni principi che permettono di comprendere se e in che termini, e dunque in che misura, può essere riconosciuto come legittimo il diritto a percepire l’assegno divorzile. Di contro, hanno messo in evidenza alcune cause che escludono il diritto di riceverlo. Tra queste, figura l’eventuale presenza di alcuni beni segregati in un trust a cui l’ex coniuge ha accesso.
Gli elementi che rilevano ai fini della liquidazione dell’assegno divorzile
Il soggetto che richiede l’assegno, ritenendo di averne diritto, ai fini della liquidazione deve dimostrare, tra le altre, le seguenti circostanze:
- la disparità economica con l’altro coniuge
- il contributo effettivamente apportato dal richiedente alla gestione familiare e alla formazione del patrimonio comune e personale di entrambi i coniugi
- i sacrifici professionali e reddituali a cui il richiedente è andato in contro in costanza di matrimonio
- (in mancanza di questi elementi) l’impossibilità di avere accesso ad altro reddito e di avere i mezzi sufficienti per mantenere una vita dignitosa.
Ma non è tutto. Come ha messo in evidenza la Corte di Cassazione con una recente ordinanza, n. 20507 del 2024, tra le circostanze da considerare per la quantificazione e la legittimazione a percepire l’assegno può rientrare anche la durata del matrimonio.
Più in particolare, la Corte ha affermato che:
- la durata del matrimonio e il contributo apportato da un coniuge alla formazione del patrimonio dell’altro coniuge, o del patrimonio in comune, integrano parametri utilizzabili in occasione della quantificazione dell’assegno divorzile e non possono valere al fine di escludere la spettanza dell’assegno di mantenimento in caso di separazione personale, essendo tuttavia, siffatti elementi, valutabili allo scopo di stabilire l’importo dell’assegno.
Se ne ricava che la durata del matrimonio e il contributo apportato da un coniuge alla formazione del patrimonio sono elementi valutabili al fine di stabilire l’importo dell’assegno di mantenimento, al punto che, la breve durata del matrimonio può precludere il diritto all’assegno di mantenimento.
Quando il matrimonio dura troppo poco
La circostanza che il matrimonio sia durato troppo poco può rendere difficile o impossibile addebitare la separazione, valutare il tenore di vita goduto in costanza di matrimonio, e la effettiva disparità economica tra le parti.
Inoltre, come osserva la Corte di Cassazione, nell’ipotesi di durata particolarmente breve del matrimonio, in cui non si è ancora realizzata, al momento della separazione, alcuna comunione materiale e spirituale tra i coniugi (attesa la insussistenza di condivisione di vita e la mancata instaurazione di un vero rapporto affettivo ‘coniugale’) non può essere riconosciuto l’assegno.
In buona sostanza, quando il matrimonio dura troppo poco si presume che non ci sia stato tempo per una materiale instaurazione di una comunione patrimoniale e spirituale tra i coniugi, da cui discende il diritto a percepire in via compensativa l’assegno.
Quando l’ex coniuge ha accesso al Trust
Se la condizione di disoccupazione di un ex coniuge può far maturare il diritto all’assegno quando questo è inabile al lavoro, non possiede altre fonti di reddito e non è in possesso di specifiche capacità lavorative, diverso è il caso in cui, osservano i giudici della Corte di Cassazione, l’ex coniuge, anche se disoccupato o inabile, ha accesso a dei beni conferiti in trust.
Più in particolare, la Corte di Cassazione ha escluso che l’ex coniuge avesse diritto all’assegno divorzile in quanto, nonostante versasse in uno stato di dimostrata temporanea incapacità lavorativa, risultava quale beneficiario di un trust.
La circostanza che il coniuge ricopra il ruolo di trustee (con ampi poteri di gestione) e sia anche beneficiario finale del trust, ad avviso della Corte, rende questo soggetto in possesso potenziale di risorse tali da potergli garantire una certa autonomia, a scapito dell’assegno divorzile.