Sovente accade che, in ragione della crisi coniugale, i partner siano portati a prendere degli accordi al fine di gestire gli aspetti patrimoniali del rapporto che va sciogliendosi.
Si tratta di accordi che i coniugi raggiungono in occasione della separazione personale o del divorzio congiunto, al fine di tutelare i rispettivi interessi patrimoniali in modo definitivo, attraverso l’omologa della separazione o la sentenza che definisce il divorzio.
È ormai copiosa la giurisprudenza che si è interessata a questi aspetti. Motivo per cui, vale la pena riprendere alcune pronunce recenti rese sull’argomento, per mettere in evidenza le regole che i coniugi devono seguire per gestire dal punto di vista patrimoniale i loro rispettivi interessi, in particolare avendo riguardo alle sorti della casa familiare.
L’accordo dei coniugi per vendere la casa familiare
Con una recente sentenza, n. 6444 del 2024, la Corte di Cassazione esamina una vicenda che ha come oggetto l’assegnazione della casa familiare, mettendo in evidenza alcuni aspetti interessanti.
Le clausole dell’accordo di separazione consensuale o di divorzio a domanda congiunta, che riconoscano ad uno o ad entrambi i coniugi la proprietà esclusiva di beni – mobili o immobili – o la titolarità di altri diritti reali, ovvero ne operino il trasferimento a favore di uno di essi o dei figli al fine di assicurarne il mantenimento, sono valide in quanto il predetto accordo, inserito nel verbale di udienza, assume forma di atto pubblico ex art. 2699 c.c..
Inoltre, l’accordo di separazione consensuale o di divorzio, ove implichi il trasferimento di diritti reali immobiliari, costituisce, dopo il decreto di omologazione della separazione o la sentenza di divorzio, valido titolo per la trascrizione ex art. 2657 c.c., alle condizioni previste nella sentenza.
In questo senso, come osservano i giudici: è valida la clausola con la quale i coniugi, in sede di separazione consensuale, si accordino per vendere in futuro l’abitazione coniugale che sia stata assegnata al coniuge affidatario di figlio minore, in quanto autonoma rispetto alla concordata assegnazione e con essa non incompatibile.
La casa familiare e gli interessi della prole
Con un’altra recente pronuncia, Cass. 5738 del 2024, la Corte di cassazione interviene in materia di assegnazione della casa familiare, evidenziando alcuni principi che devono essere osservati per garantire la massima tutela alla prole.
Il provvedimento di assegnazione della casa familiare, osserva la Corte, risponde all’esigenza di conservare, in favore della prole, il domicilio dove si sono radicate le abitudini e dove hanno dimora gli affetti del minore.
Per tale ragione, il provvedimento che dispone l’assegnazione deve tenere conto degli interessi del minore, valutando attentamente: in che misura la regolazione del possesso della casa familiare in ragione dei profili dominicali e l’eventuale revoca della disponibilità dell’alloggio in capo al genitore convivente con la prole possano pregiudicare il sereno ed equilibrato sviluppo di quest’ultimo.
L’assegnazione della casa familiare, infatti, ha l’esclusiva funzione di non modificare l’habitat domestico e il contesto relazionale e sociale all’interno del quale il minore ha vissuto prima dell’inasprirsi del conflitto familiare.
È per questa ragione, osservano i giudici della Corte, che quando vi è un minore e si deve decidere sull’assegnazione della casa familiare occorre farlo con autonoma valutazione.
Più in particolare, alla luce dell’importanza della questione per lo sviluppo e la serenità del minore, il provvedimento di assegnazione della casa familiare così come le altre statuizioni relative all’esercizio della responsabilità genitoriale, non può fondarsi su una ratio implicita o essere desunto per relationem come effetto automaticamente discendente da altre disposizioni giudiziali quali quella sul diritto di visita paritetico, richiedendo una specifica ed autonoma valutazione dell’interesse del minore in relazione alla sua adozione e al suo contenuto prescrittivo.
L’assegnazione della casa familiare si estende anche a mobili e arredi
Come chiarito nella recente ordinanza n. 16691 del 2024, i giudici della Corte di cassazione affermano, altresì che l’assegnazione della casa familiare si estende – anche a mobili ed arredi, essendo indissolubilmente legata alla collocazione dei figli minori o maggiorenni non autosufficienti, i quali hanno diritto di conservare l’habitat domestico nel quale sono nati o cresciuti, composto delle mura e degli arredi.
Il principio è dunque quello del logico collegamento tra immobile e mobili nell’ottica della tutela del minore.
L’assegnazione della casa coniugale ad uno dei coniugi, ai sensi dell’art. 155, comma 4, c.c., ricomprende, continuano i giudici, non il solo immobile, ma anche i mobili, gli arredi, gli elettrodomestici ed i servizi, con l’eccezione dei beni strettamente personali che soddisfano esigenze peculiari dell’altro ex coniuge.
Il logico collegamento tra immobile e mobili ai fini di tutelare l’interesse del minore alla conservazione dell’ambiente familiare si conferma anche se la proprietà dell’immobile è di proprietà esclusiva del coniuge non proprietario dei beni mobili al fine di garantire al minore quel complesso di comfort e di servizi che durante la convivenza ha caratterizzato lo standard di vita familiare.