Il mercato italiano sta assistendo a una repentina evoluzione darwiniana dei ristoranti, la quarta dimensione del ristorante prende forma: la dimensione digitale.
Si parla di dark-kitchen, ovvero di un insieme di pratiche di gestione del ristorante attraverso l’impiego di soluzioni digitali che permettono di massimizzare la resa della cucina senza sostenere (se non parzialmente) i costi di gestione dei clienti in sala.
Non si parla di cibo d’asporto, take away, doggy bag o della più milanese schiscetta. Con i termini dark- kitchen o pop-up kitchen si intendono molteplici soluzioni gestionali del ristorante:
- ristorante tradizionale già esistente che decide di aprire solo la cucina senza sala-ristorante, con pubblicazione del menù su piattaforma di delivery più o meno specializzata, oppure curando direttamente la consegna a domicilio;
- ristorante tradizionale che riapre al pubblico proponendo allo stesso tempo una linea di piatti distribuiti a domicilio, sia in parallelo con il menù della propria sala ristorante che con un menù dedicato per le prenotazioni web;
- bar/tavola-calda solitamente impostati sui pranzi di lavoro durante la settimana lavorativa che possono optare per aprire alla sera la propria dark-kitchen.
I layout sono molteplici, il principio il medesimo: metti on-line il menù, raccogli la comanda sul web, consegni a domicilio. L’obiettivo è saturare la capacità produttiva in modo economicamente sostenibile.
Parlare di dark-kitchen è come parlare di affitti brevi: quante persone in Italia si sono scoperte imprenditori nell’ambito delle soluzioni ricettive affittando su Airb&b la propria seconda casa (a volte anche l’unica casa in tempo di Salone del Mobile)?
In un momento di difficoltà come quello attuale, avviando una dark-kitchen un imprenditore già attivo nel mondo della ristorazione può ambire al perseguimento dei seguenti obiettivi:
- aumentare l’attività della cucina saturando la propria capacità produttiva;
- mantenere attiva l’insegna del ristorante limitando le perdite;
- evitare di farsi carico di ingenti costi di messa a norma e mantenimento della sanificazione dei locali, evitando l’accesso del pubblico e la somministrazione in sala;
- riconfigurare le mansioni del personale dipendente.
Inoltre, le soluzioni di dark-kitchen possono fornire valide alternative per il passaggio del fiume Limbo dall’inferno della chiusura alla vita normale della sala-ristorante.
Sotto un altro punto di vista, l’avvio di una dark-kitchen può essere lo sbocco per alcune delle persone che nel mondo della ristorazione hanno sempre lavorato, magari come personale addetto alla sala o in cucina. Perdendo il posto di lavoro possono ora avviare l’attività in proprio.
Le dark-kitchen che partono da zero hanno addirittura più possibilità di successo in termini economici rispetto a un ristorante tradizionale. Il ristorante tradizionale sfrutta il canale digitale per sopperire alle difficoltà contingenti e ovviare alla riduzione del numero di coperti. Una dark-kitchen creata da zero sfrutta a pieno il business model digitale: locali di dimensione inferiore e attrezzati in modo efficiente, nessuna sala e relativo personale di servizio, personale in cucina razionalizzato.
Sotto il profilo burocratico-amministrativo, chi vende beni alimentari resta soggetto alle ordinarie regole amministrative e sanitarie in vigore per il settore, con i medesimi vincoli per quanto concerne denuncia di inizio attività, requisiti igienico-sanitari, sicurezza, regolarità fiscale e giuslavoristica. In altre parole, i locali dove si lavorano gli alimenti e si preparano i piatti devono essere a norma, non è pensabile partire avviando la cucina dal box di casa, come nelle migliori storie imprenditoriali. Tra l’altro, i requisiti burocratico- amministrativi cambiano da comune a comune, e ogni sportello unico per le attività produttive (Suap) detta legge al pari delle prescrizioni del comando locale dei Vigili del Fuoco o dell’Ats ( Azienda di tutela della salute – quella che un tempo veniva chiamata Asl).
Sotto il profilo economico, ogni dark-kitchen ha una struttura di costo propria che è funzione di molteplici fattori. Anche nel caso in cui ci sia il medesimo menù. Le variabili possono essere così varie che a parità di prodotto proposto potrebbe verificarsi il caso che quello con il prezzo più alto è un prodotto venduto dalla dark-kitchen Alfa in perdita, mentre per quello venduto a prezzo inferiore la dark-kitchen Beta realizza un buon margine.
La dark-kitchen ruberà il posto ai ristoranti tradizionali? Difficile da credere. Certamente può portare sollievo a un sistema produttivo gravemente danneggiato. Provate a pensare ai seguenti rapporti causa-effetto: “più smart working” e “più restrizioni sanitarie per i luoghi pubblici” possono determinare “meno lavoratori sul posto di lavoro” “meno frequenza dei locali pubblici di ristorazione” e quindi “minor volume d’affari per i locali”; come conseguenza “riduzione ovvero perdita degli affitti dei locali” e “taglio degli stipendi”. Il risultato è una riduzione della capacità di reddito di un segmento importante della popolazione e della capacità di risparmio.
Implementando la dark-kitchen è possibile interrompere questa reazione a catena negativa in modo pratico. Senza essere Einstein.