Il caso di specie riguardava un contribuente subentrato mortis causa alla moglie nel possesso di un’azienda, detenuta dalla de cuius per molti anni fino alla morte, dalla cui successiva cessione aveva originato una plusvalenza. Considerato che l’azienda oggetto di cessione era stata ereditata da meno di 5 anni, l’Agenzia delle Entrate contestava, in relazione alla suddetta plusvalenza, l’applicazione del regime di tassazione separata previsto dall’art. 17, comma 1, lett. g), del Tuir (norma che, prevedendo l’assoggettamento a tassazione separata per le plusvalenze realizzate mediante cessione a titolo oneroso di aziende possedute da più di cinque anni, ha lo scopo di attenuare l’imposizione sui redditi a formazione pluriennale, evitando l’effettuazione del cumulo tra i redditi), in luogo del regime di tassazione ordinario.
Tale interpretazione risulta peraltro coerente (i) con la ratio del citato art. 17, che mira ad attenuare l’imposizione sui redditi a formazione pluriennale, in quanto l’erede proseguendo nel possesso e nell’attività del de cuius, al momento della cessione dell’azienda realizza un reddito formatosi nel tempo e (ii) con la circostanza per la quale il trasferimento mortis causa dell’azienda ex art. 58 co. 1 del Tuir non costituisce realizzo di plusvalenze, in quanto l’azienda è assunta ai medesimi valori fiscalmente riconosciuti nei confronti del dante causa. In senso conforme sembrano peraltro esprimersi alcune posizioni della prassi amministrativa richiamate dalla stessa Corte (risoluzione del 14.2.2002, n. 42/E; circolare del 4.8.2006, n. 28/E; risoluzione del 14.2.2014, n. 20/E).
Alla luce di ciò – conclude la Cassazione, accogliendo il ricorso originario presentato dal contribuente – la continuità dei valori fiscali, cui la norma sopra citata fa riferimento, consente la cumulabilità dei periodi di possesso dell’erede e del suo dante causa, perché non si sono verificati atti di realizzo della plusvalenza al momento della successione.