Dopo alcuni anni di crescita, la quota di italiani che si è fatta assistere da un consulente finanziario si è ridotta, nel 2022, dal 28 al 26%. Eppure, gli investitori che amministrano i propri investimenti in autonomia sono sempre meno, con una diminuzione dal 31 al 24%. Ad ingrossarsi ulteriormente, consolidando il proprio “predominio”, è quella fetta di italiani che decide come investire sulla base della consulenza informale di parenti ed amici, passata dal 37 al 45% del totale.
Sulla base di quali elementi si sceglie il consulente in Italia? E per quali ragioni due terzi degli italiani non vi ricorrono? Queste ed altre risposte sono contenute nel rapporto del 2022 sulle scelte d’investimento delle famiglie italiane, realizzato dalla Consob realizzato su un campione di 1.436 individui, rappresentativo degli investitori italiani (per cui composto all’80% di uomini).
I principali deterrenti nella ricerca del consulente finanziario sono il fatto di avere solo piccole somme da investire (29%) e, subito al secondo posto, il fatto che i costi siano elevati (26%).
La percezione del problema dei costi per chi, invece, un consulente ce l’ha è molto diversa. Solo il 4% cita questo elemento come importante nella scelta del professionista e solo 8% per determinare il suo livello di soddisfazione. Curiosamente, però, ben il 57% degli investitori assistiti da un consulente si dice contrario a pagarlo e il 42% degli intervistati è effettivamente convinto di non farlo (un altro 24% non sa dire come viene pagato il suo consulente).
Si può facilmente dedurre che il costo della consulenza finanziaria non è un tema d’interesse perché, come già evidenziato in passato, una parte notevole degli italiani è convinta che si tratti di un servizio gratuito – anche se non è così. Il tentativo in corso, da parte della Commissione europea, di promuovere un modello di retribuzione della consulenza basato esclusivamente sulle parcelle ha generato allarme, fra gli intermediari finanziari, anche perché la resistenza dei clienti al pagamento diretto del professionista è risaputa.
Il costi, come noto, incidono negativamente sulle performance degli investimenti, ma anche quest’ultimo aspetto conta molto meno di altri nella soddisfazione del cliente (citato dal 17% del campione). Al primo posto c’è la competenza del consulente (36%), la sua affidabilità (31%) e attenzione ai bisogni del cliente (29%). Fra gli aspetti meno rilevanti (4%) compare, invece, l’attenzione al tema della sostenibilità.
Tornando alle motivazioni di chi decide di non ricorrere al consulente, spicca anche un 19% del campione, cita fra le motivazioni il fatto di non fidarsi dei consulenti. In generale, il problema era stato messo in risalto anche dalle rilevazioni effettuate dalla Consob nel 2021 e, a un anno di distanza, la situazione è migliorata, per quanto resti problematica.
Il 33% degli italiani non ritiene meritevoli di fiducia i consulenti finanziari (in miglioramento dal 45% del 2021) e il 7% non sa esprimersi al riguardo (il dato per i consulenti indipendenti è ancora più negativo). Se si parla invece del proprio consulente, la percentuale di chi non prova fiducia nei suoi confronti è del 20% (dal 23% dell’anno precedente), cui si aggiunge un 10% che non sa rispondere in merito (dal 27%).
Parallelamente, la fiducia nella categoria è migliorata: rispetto al 2021 la quota di investori che ritiene meritevole di fiducia i consulenti è raddoppiata dal 10% al 20%. Un bel passo avanti, anche se la percentuale dei sospettosi resta ancora prevalente.
Al di là dei nodi su costi e fiducia, la Consob ha portato nuove evidenze sul fatto che gli investitori seguiti da un consulente da tempo mostrano competenze finanziarie superiori rispetto ai nuovi arrivati: “Gli individui che si rivolgono al proprio consulente da più di cinque anni”, ha affermato il report, “tendono a connotarsi per una posizione finanziaria più solida, ad avere maggiori conoscenze finanziarie di base e di finanza sostenibile e una più elevata fiducia negli intermediari finanziari”. Nel dettaglio, chi ha un consulente da meno di cinque anni mostra competenze finanziarie di base elevate nel 51% dei casi, contro il 64% di chi ha un rapporto che dura da oltre cinque anni.
E il portafoglio come cambia fra investitori assistiti da un consulente e indipendenti? Le maggiori differenze compaiono su tre aspetti: si riduce la componente di depositi bancari e postali (dal 55 a 41%) mentre raddoppia l’esposizione ai fondi comuni (dal 21 al 44%) e alle obbligazioni bancarie italiane (da 8 al 17%). Inoltre, aumenta la diversificazione: solo il 31% degli investitori seguiti da un consulente possiede un solo prodotto d’investimento, conto il 49% della media.