Questa frase era lo slogan di una campagna pubblicitaria di una nota bevanda gassata che faceva leva sulla forte emozione che proviamo quando facciamo qualche nuova esperienza.
Lo spirito d’avventura fa parte dell’indole umana. Proviamo piacere ad andare in vacanza in un posto nuovo, a conoscere nuove persone, ad assistere alla Prima della Scala o ad assaggiare una specialità culinaria per la prima volta. Le nuove esperienze sensoriali sono sempre benvenute.
Non si può dire lo stesso, invece, per le nuove esperienze comportamentali o quelle emotive. Quando si tratta di essere noi per primi a cambiare la nostra routine di azioni quotidiane e metterci alla prova in contesti sconosciuti, la cosa si fa un po’ più difficile. E anche meno affascinante.
Parlare in pubblico per la prima volta. Sostenere un colloquio di lavoro presso una nuova azienda. Venire a capo di un imprevisto aziendale o personale da cui non sappiamo districarci. Scenari nuovi implicano modi di pensare nuovi e nuove azioni. Tutto questo costa energia, impegno e genera anche un po’ di timore. Ed è normale che sia così. Di fronte a un compito nuovo, usciamo da quella che gli psicologi chiamano “zona di comfort”.
La zona di comfort è uno stato psicologico in cui le cose sembrano familiari, si è proprio agio, si ha controllo del proprio ambiente, vivendo così bassi livelli di ansia e stress. In questa zona il livello delle nostre prestazioni è abbastanza prevedibile.
Uscire dalla zona di comfort significa mettersi alla prova in situazioni che non conosciamo alla perfezione, che rappresentano una sfida, che non ci fanno stare del tutto tranquilli. Ma d’altro canto solo così si impara e si migliora.
Fare sempre le stesse cose non ci fa progredire, ci mantiene in una situazione di “status quo” per cui la nostra mente e la nostra produttività restano sempre uguali, ci precludiamo la nostra crescita personale o il raggiungimento di obiettivi più importanti.
Prendiamo l’esempio di un manager bravissimo nel suo lavoro, ma che ha sempre operato sul territorio italiano e che un bel giorno è chiamato a rappresentare la sua azienda all’estero. Per lui potrebbe essere un grande scoglio parlare inglese e agire in un contesto imprenditoriale culturalmente diverso. Da cosa dipenderà il suo successo? Dalla sua capacità di adattarsi alla nuova situazione, leggerla, gestirla e per l’appunto, uscire dalla sua zona di comfort.
Sono stati fatti diversi esperimenti che hanno dimostrato come l’apprendimento di qualsiasi nuova competenza sia più rapido quando la persona chiamata a esercitarsi esce dalla sua zona di comfort.
Il più famoso di questi esperimenti fu condotto dallo psicologo svedese Anders Ericcson. Anders si interrogò sul perché tra i violinisti del Conservatorio di Berlino, esistessero musicisti migliori di altri, pur dedicando tutti le stesse ore di pratica allo strumento musicale. Se non erano le ore di pratica, cosa faceva la differenza tra i più bravi e i meno bravi? Per scoprirlo, Ericcson studiò le routine quotidiane di tutti i giovani allievi del conservatorio e scoprì che i migliori erano coloro che si esercitavano da soli con lo scopo preciso di lavorare sui propri limiti e di superarli. Erano gli unici che provavano a suonare brani più difficili e ripetevano più e più volte i passaggi sui quali avevano più difficoltà, finché non riuscivano.
Uscire dalla propria zona di comfort è quindi fondamentale per progredire e sentirsi a proprio agio in una sempre più ampia gamma di scenari possibili. Attenzione, però, a non andare troppo oltre la zona di comfort. Le cose vanno fatte per gradi, altrimenti subentra troppo stress e si entra in quella che viene definita la “panic zone”.
È come per un atleta che si allena per la maratona. Se non ha mai corso più di mezz’ora in vita sua e decidesse di compiere il primo allenamento di 42 km, rischierà seriamente qualche infortunio fisico, perché i suoi muscoli non sono abituati a quel carico di lavoro. Ma se di settimana in settimana aumenta gradualmente il tempo dei suoi allenamenti e il chilometraggio di ogni uscita, ecco che centrerà l’obiettivo, perché il suo corpo si abituerà poco per volta al nuovo stimolo, lo gestirà senza stress (o con uno stress ridotto) e la sua capacità di tolleranza alla fatica aumenterà.
Per arrivarci però dobbiamo avere abbandonato la nostra comfort zone e accettare l’impegno emotivo che questo comporta.
Come farlo? Ecco qualche valido consiglio.
- Procedere per gradi. Come per un allenamento fisico, anche le nostre abilità e competenze vanno affinate per gradi, e così il nostro stato emotivo. Se la paura è quella di parlare in pubblico, si può iniziare a tenere un discorso davanti a tre colleghi della propria azienda, poi farlo con venti persone sconosciute e infine davanti a una sala da cento posti. Ognuno ha ovviamente la sua scala di progressione.
- Consapevolezza. Conoscere quello che ci blocca è il primo passo per disinnescare i meccanismi di paura. È quindi utile ascoltarsi e individuare le trappole che ci tengono in qualche modo confinati nella nostra comfort zone: nutriamo credenze limitanti? Ripensiamo a esperienze passate? Abbiamo solo paura del nuovo?
- Trovare ispirazione da chi lo ha già fatto. Quello che per una persona è fuori “comfort-zone”, non lo è per chi quel determinato compito lo ha già portato a termine con successo. Farsi ispirare da chi ha già confidenza in una determinata realtà può incoraggiarci, aiutarci ad abbattere le nostre personali credenze limitanti e suggerirci un approccio diverso.
- Restare positivi. Quando ci si mette alla prova in contesti nuovi, non sempre si riesce al primo colpo. Per questo, anche se alcune emozioni negative potrebbero avere il sopravvento in caso di non riuscita, è bene restare positivi: l’errore e l’autocorrezione fanno parte dell’apprendimento.
- Provare qualcosa di diverso ogni giorno. La capacità di uscire dalla zona di comfort è anche uno stato mentale che si può acquisire e far diventare parte della propria quotidianità. Come? Nella routine delle proprie giornate, ci si può impegnare a introdurre un semplice cambiamento, anche piccolo, ma che ci porti a fare qualcosa di nuovo. Non serve per cambiare vita, ma per affrontare qualcosa di diverso: fare una strada diversa, iniziare una conversazione con uno sconosciuto, provare una lezione di un nuovo corso in palestra.
Tutti i grandi esploratori come ad esempio Cristoforo Colombo e ai tempi nostri Reinhold Messner, erano molto motivati dall’uscire dalla zona di comfort. Ed è proprio questa abilità che li ha portati a superare i limiti e a fare scoperte.
Io, nel mio piccolo, cerco sempre di iniziare qualcosa che non so fare (scalare una montagna ad esempio). Sia che ci riesca sia che ci riesca meno bene, imparo sempre qualcosa su di me… e inevitabilmente sugli altri.