Il dialogo fra il mondo dell’arte e il mondo della finanza, dopo timide manovre di avvicinamento, oggi può dirsi più solido che mai. Ad essere mutato nel corso degli anni, tuttavia, è il focus di tale confronto: se nei primi anni Duemila, l’attenzione degli operatori e della stampa di settore era rivolta alla nascita dei primi servizi di art advisory in seno alle grandi banche private internazionali e alla costruzione dei primi, pionieristici, art market index, alla metà dello stesso decennio ad assumere centralità nel dibattito diventa il concetto di art as investment e la conseguente nascita, a livello internazionale, dei fondi d’investimento in arte, trainati dall’esperienza del Fine Art Group, guidato dall’ex manager di Christie’s Philip Hoffman.
Dopo una battuta di arresto del fenomeno – conseguente alla crisi globale del 2008 – questi strumenti finanziari conoscono una “seconda giovinezza” fra il 2012 e il 2013 quando – secondo l’Art & Finance Report di Deloitte –
gli asset under management dei fondi specializzati raggiungono la soglia dei 2,3 miliardi di dollari. Ma anche questa fase di rinascita e rilancio è destinata ad avere vita breve: solo tre anni dopo, nel 2015, i capitali investiti risultano dimezzati senza più riuscire a recuperare, anche negli anni successivi, il favore e la fiducia degli investitori. A cosa è dovuto il tramonto di tali fenomeni e la perdita di appeal dell’arte, intesa come forma di investimento meramente speculativo?
Il primo elemento di debolezza dei fondi d’investimento è rappresentato dalla sostanziale assenza di validi benchmark di riferimento: al di là dell’assai noto British Rail Pension Fund, che fra gli anni Settanta e Ottanta del Novecento investì una quota del proprio patrimonio in opere d’arte, ottenendo una performance soddisfacente, numerosi fondi sono stati invece travolti da scandali e fallimenti che hanno minato irreparabilmente la reputazione del settore.
La mancanza di trasparenza di molti strumenti d’investimento, in relazione ai risultati conseguiti e alle scelte di gestione, costituisce il secondo grande limite alla diffusione e al consolidamento dei fondi: la loro natura prevalente – veicoli non armonizzati, basati non di rado in paesi offshore – ha posto infatti pesanti incertezze sugli standard di trasparenza che questi strumenti riescono a garantire ai propri investitori, riducendo sensibilmente la platea di potenziali interessati.
In terza battuta, le scarse performance ottenute dalla maggior parte di tali strumenti sono le principali cause che hanno determinato il declino di queste forme d’investimento: aspettative di capital gain troppo ottimistiche, unitamente a elevati costi di gestione delle strutture finanziarie e oneri di gestione delle opere d’arte troppo gravosi sono alla base del sostanziale insuccesso di quasi tutte le iniziative nel settore.
Infine, gli strumenti quantitativi e predittivi utilizzati per lo studio del mercato dell’arte e per determinare le scelte di investimento hanno mostrato i propri limiti, non derivanti dall’inadeguatezza di chi li ha costruiti, bensì dalla natura assolutamente peculiare del mercato e dei beni – ovvero le opere – che su di esso vengono scambiati.
Al declino di questi fenomeni, è corrisposta tuttavia la nascita di nuovi ambiti di contaminazione fra arte e finanza, che rappresentano le vere sfide a cui i player di entrambi i settori sono chiamati a confrontarsi e su cui si basa lo sviluppo futuro dei due mercati. Un ambito centrale di confronto è rappresentato dal wealth management e dai
nuovo servizi di art advisory che le banche hanno incominciato a sviluppare: come emerge dall’ultima edizione dell’
Art & Finance Report di Deloitte, i gestori delle grandi ricchezze – dalle strutture di private banking alle fiduciarie, dai family office ai wealth advisor – hanno preso coscienza dell’entità dei patrimoni dei propri clienti investiti in arte e in beni da collezione e considerano imprescindibile, oggi più che in passato, presidiare tale ambito con nuove e competitive value proposition. Sul fronte della domanda, collezionisti e detentori di collezioni – dopo una lenta attività di sensibilizzazione – hanno raggiunto la consapevolezza che per gestire e valorizzare adeguatamente un patrimonio artistico – ancorché costruito con passione e dedizione – è necessario avvalersi di competenze e professionalità specialistiche: è nato così uno
scambio fruttuoso fra il mondo del wealth management e il mondo del collezionismo che ha come hot topics il tema della pianificazione successoria – per far sì che tali patrimoni rappresentino davvero, per chi li riceve in eredità, un’opportunità e non un onere di difficile gestione – così come i temi della due diligence storico-artistica e della pianificazione fiscale.
Un altro tema di dialogo fra il mondo dell’arte e quello della finanza nasce dall’esigenza di rendere liquidi patrimoni anche significativi, immobilizzati in opere d’arte: da tale istanza scaturisce il confronto – sempre più vivace – fra operatori del settore, collezionisti e intermediari finanziari su progetti e iniziative commerciali aventi per oggetto operazioni di art lending (ad oggi ancora inutilizzate nel nostro paese) e guarantee di diversa natura (che già trovano, invece, ampia diffusione nelle vendite all’asta delle grandi major internazionali).
Un ultimo ambito, in grande fermento, in cui devono trovare un punto di sintesi competenze e professionalità storico-artistiche ed esigenze e approcci finanziari è rappresentato dalle corporate collection, soprattutto di natura bancaria, la cui valutazione economica e patrimoniale acquisisce una rilevanza particolare in sede di bilancio. La determinazione di un valore aggiornato dei più grandi patrimoni aziendali italiani, secondo il principio del cosiddetto fair value, rap-presenta un passo dovuto di molti istituti – da realizzare nei prossimi anni – per una piena legittimazione dell’arte da parte del mondo della finanza e per una definitiva presa di coscienza degli straordinari valori, anche economici, che queste componenti del patrimonio rappresentano.
Il dialogo fra il mondo dell’arte e il mondo della finanza, dopo timide manovre di avvicinamento, oggi può dirsi più solido che mai. Ad essere mutato nel corso degli anni, tuttavia, è il focus di tale confronto: se nei primi anni Duemila, l’attenzione degli operatori e della stampa di settore era ri…