La perdita di slancio dell’economia cinese ha trovato nuove conferme dalla pubblicazione dei dati sulla crescita per il secondo trimestre, che hanno deluso le attese degli analisti, così come gli ultimi dati mensili relativi alle vendite al dettaglio. Fra marzo e giugno il Pil cinese è cresciuto del 6,3%, contro il 7,1% stimato dagli analisti: il confronto annuo è solo apparentemente positivo, se si considera che, in uscita dalle restrizioni di contenimento alla pandemia, lo slancio cinese sarebbe dovuto essere molto più deciso secondo gli economisti. Rispetto al precedente trimestre, il Pil cinese è avanzato dello 0,8%, mentre nel complesso del primo semestre la crescita su base annua è stata del 5,5% contro il 6,1% stimato.
Anche le vendite al dettaglio, sulle quali gran parte della crescita si sarebbe dovuta poggiare nella fase post pandemica, sono state asfittiche: il tasso di crescita è rallentato al 3,1% a giugno, contro il 12,7% segnato a maggio e il 3,3% stimato dagli analisti. Consumi interni ed esportazioni inferiori alle attese hanno entrambi contribuito a frenare la crescita del Pil cinese. Le esportazioni si sono ridotte del 5,2%, mentre le importazioni del 6,9%.
Migliori del previsto, invece, sono stati l’andamento della produzione industriale, in aumento del 4,4% a giugno (contro il 2,5% atteso), mentre nel primo semestre gli investimenti fissi sono cresciuti del 3,8% (contro il 3,4% atteso), pur scontando il calo negli investimenti immobiliari.
La delusione sul Pil cinese ha spinto al ribasso il petrolio, il cui andamento è collegato alla crescita della domanda cinese, primo Paese importatore di greggio: il Brent ha ceduto oltre l’1,7% con un minimo di giornata (alle ore 13 italiane a 78,25 dollari al barile), il calo per il Wti ha toccato il 2%. L’indice azionario cinese Csi 300 ha perso lo 0,82% il 17 luglio, mentre l’Hang Seng ha chiuso le contrattazioni in anticipo a causa della minaccia atmosferica rappresentata dal tifone Talim.
Poche speranze su stimoli economici risolutivi
Entro luglio il partito Comunista cinese si riunirà per decidere quali misure di stimolo adottare per sostenere la ripresa dell’economia, ma gli analisti non si aspettano cambi di passo eclatanti. L’obiettivo sulla crescita del Pil 2023 comunicato dal governo, “attorno al 5%”, era sembrato da subito molto prudente, tenuto conto anche della massiccia frenata dell’attività economica dell’anno scorso, dovuta alle restrizioni anti-contagio. Anche la politica monetaria dovrebbe proseguire con alcune misure espansive. “Ci aspettiamo che Pechino introduca una serie di misure di sostegno nella seconda metà dell’anno, tra cui due tagli dei tassi di 10 punti base”, ha dichiarato a Bloomberg Lu Ting, capo economista per la Cina di Nomura, “tuttavia, queste misure potrebbero non risollevare la situazione”.
Dello stesso avviso anche Yue Su, dell’Economist Intelligence Business Unit, secondo la quale “il governo continuerà ad attuare una politica fiscale di sostegno, anche se in modo cauto… Dopo aver sperimentato un impegnativo processo di riduzione della leva finanziaria, il governo è più propenso a garantire che la spesa pubblica o gli investimenti abbiano ricadute positive sulla produttività o sulla domanda persistente delle famiglie, piuttosto che limitarsi a gonfiare i dati sulla crescita”.
“Qualcosa sta cambiando nella retorica cinese: il governo sembra finalmente aver preso compreso che qualcosa si è inceppato nel naturale motore dell’economia cinese e in occasione del prossimo Politburo del 29 luglio, tale consapevolezza potrebbe tradursi in nuovi stimoli o interventi a supporto della crescita e dei consumi”, ha dichiarato a We Wealth Marco Mencini, Head of Research di Plenisfer Sgr, “non mi aspetto siano di natura eccezionale, ma se si concretizzassero sarebbe un segnale importante per il mercato”.
“Nell’attesa” del prossimo incontro del Politburo “e alla luce del contesto, nei mesi scorsi in Plenisfer abbiamo con gradualità iniziato a favorire un’esposizione indiretta, rispetto a quella diretta, sulla Cina, per esempio focalizzandoci sulle materie prime essenziali per la transizione energetica, in cui la Cina è ancora oggi estremamente rilevante”, ha affermato il capo della ricerca di Plenisfer.
LE OPPORTUNITÀ PER TE.
La crescita cinese in quale misura influenza alcune azioni italiane?
Quali sono i principi per diversificare fa diverse aree geografiche?
Gli esperti selezionati da We Wealth possono aiutarti a trovare le risposte che cerchi.
RACCONTACI IL TUO BISOGNO
La delusione per i gestori
Si tratta di segnali che si aggiungono alle precedenti avvisaglie su una crescita cinese che non è riuscita a riprendere la velocità che ci si sarebbe aspettati a inizio anno. Nelle quattro settimane al 15 gennaio il fornitore di dati Epfr aveva calcolato che il ritmo degli acquisti sul mercato cinese da parte dei fondi azionari attivi erano stati ai massimi dal 2018. Gli entusiasmi, poi, si sono sgonfiati: nella terza settimana di giugno Epfr ha osservato il peggior deflusso dai fondi azionari cinesi da circa quattro mesi e mezzo. Già a maggio gli investitori stranieri avevano venduto azioni della Cina continentale per un controvalore di 1,71 miliardi di dollari (attraverso Stock Connect, il collegamento con la borsa di Hong Kong).
Da inizio anno al 17 luglio l’indice di riferimento per il mercato cinese, il Csi 300, ha ceduto lo 0,58%, contro il 17,82% messo a segno nello stesso periodo dall’S&P 500 e il 6,7% realizzato dall’Euro Stoxx 600.
Mentre per gli investimenti di portafoglio l’appeal del mercato cinese si è ridotto nel corso della prima metà dell’anno, un discorso diverso riguarda gli investimenti diretti esteri nel Dragone. Già nel primo trimestre, infatti, questi investimenti che puntano, ad esempio, alla costruzione di nuove fabbriche nel Paese, si sono contratti da 100 a 20 miliardi di dollari: segno di una crescente diversificazione nelle catene di fornitura di fronte ai rischi geopolitici che coinvolgono la Cina.