Pochi dubitano sul fatto che l’economia cinese stia crescendo molto meno del previsto. Il giudizio su quello che le autorità cinesi faranno per risollevare la situazione, però, è molto meno uniforme. La domanda è se ci sarà una forte spinta sulla spesa pubblica per sostenere attivamente l’economia, come avvenuto nelle crisi del passato. Ad aver preso quota nelle ultime ore è, però, un visione più cauta.
L’ultimo segnale ufficiale inviato da Pechino è arrivato lo scorso 30 luglio, quando le autorità cinesi avevano annunciato che sarebbero state “studiate e formulate politiche” di sostegno all’economia e in particolare ai consumi, ritenuti “la chiave per lo stimolo della ripresa e per espandere la domanda” secondo il vice direttore della Commissione nazionale per lo sviluppo e le riforme cinesi, Li Chunlin. Un messaggio, però. ritenuto troppo vago e ancora povero di dettagli. In meno di venti giorni i segnali di difficoltà dell’economia cinese sono aumentati, con vendite al dettaglio e produzione industriale sotto le stime a luglio. Anziché sfoderare il“bazooka” della spesa pubblica, le autorità cinesi hanno deciso di sospendere la pubblicazione dei dati sulla disoccupazione giovanile, arrivata oltre il 20%.
Da fine luglio, l’indice azionario di cinese Csi 300, ha ceduto oltre il 5,7% senza che un taglio dei tassi a sorpresa da parte della Pboc, il 15 agosto, abbia sortito alcun effetto positivo sul mercato azionario nazionale. Il 17 agosto la stessa banca centrale cinese ha assunto l’impegno di “mantenere la stabilità di base del tasso di cambio del renminbi a un livello ragionevole ed equilibrato e prevenire risolutamente il rischio di overshoot del tasso di cambio”. Da inizio anno la moneta cinese ha perso il 5,21% sul dollaro e oltre mezzo punto solo nelle ultime cinque sedute.
Cina, gli stimoli potrebbero deludere le aspettative
Sempre più analisti dubitano che aspettare un forte stimolo economico alimentato dalla spesa pubblica cinese sia una buona idea. La tesi, in questo caso, è che per uscire da un’economia alimentata da un eccesso di debito non sia una buona idea ricorrere ad altro debito. Coperti di debito, oltre alle amministrazioni locali sono diversi costruttori immobiliari come Evergrande e Country Garden. Nel primo caso, la società ha accumulato passività per 340 miliardi di dollari lo scorso anno, mentre Country Garden è arrivato a quota 194 miliardi. Come Evergrande, anche Country Garden potrebbe finire ufficialmente in default in seguito alla mancata remunerazione di cedole obbligazionarie per 22,5 milioni di dollari, scadute lo scorso 6 agosto. Che un eventuale default di i Country Garden sia o meno un potenziale rischio sistemico, sembra chiaro che l’edilizia cinese (che vale circa il 30% del Pil cinese) abbia perso il traino di una crescita economica esuberante.
I dati recenti sull’andamento del mercato immobiliare cinese, del resto, non promettono bene: nel periodo compreso fra gennaio e luglio, le vendite di immobili sono scese del 6,5% annuo, in termini di superficie venduta. Solo a luglio, ha sottolineato il Nikkei Asia, il totale delle vendite si è contratto del 24% annuo e del 46% rispetto allo stesso mese del 2021. Fra i potenziali compratori di immobili in costruzione sta montando la sensazione che i progetti potrebbero non essere realizzati in tempo. In alcune città cinesi un numero significativo di acquirenti ancora in attesa della propria casa ha iniziato a boicottare le rate dei mutui, ha raccontato il quotidiano. Considerando il rallentamento demografico e il minor afflusso di abitanti dalle campagne verso le città, i fattori che hanno spinto l’immobiliare cinese in passato, alcuni analisti hanno iniziato a vedere analogie fra Cina e Giappone.
“I rischi al ribasso della Cina continuano a crescere, e non ci sembra che Pechino possa fare molto per sostenere l’economia… Per molti aspetti, i problemi della Cina di oggi potrebbero rispecchiare quelli del Giappone degli anni Novanta”, ha affermato il cio di Blue Bay AM, Mark Dowding, “da questo punto di vista, abbiamo aggiunto una posizione short sul renminbi cinese, prevedendo che la valuta continui a indebolirsi, avendo toccato questa settimana i minimi degli ultimi 15 anni”.
Una transizione verso un nuovo modello
“Il problema principale è che i mercati si sono abituati all’approccio di una Cina che affronta tutto gettando un sacco di soldi, e questo è il motivo per cui ora c’è molta delusione”, ha detto a Marketwatch Shehzad Qazi, managing director del China Beige Book, una società di analisi specializzata sul Dragone, “ora i decisori politici sono molto cauti nella quantità di stimoli che vogliono rilasciare… li stanno offrendo a piccole dosi lungo il percorso”. L’obiettivo prioritario sarebbe “eliminare rischi nel sistema economico”, davanti a quello di una “robusta crescita economica”, una svolta che secondo Qazi sarebbe stata “completamente sottostimata dagli investitori occidentali”. Per tale ragi
“Il modo per superare l’eccesso di debito non è quello di stampare altro debito”, ha affermato il 15 agosto Robert Carnell responsabile della ricerca sull’Asia-Pacifico di Ing, per il quale una crescita più debole è “parte necessaria dell’aggiustamento ed è di gran lunga preferibile alla resurrezione del modello immobiliare alimentato dal debito che ha spinto la crescita in passato”.
A livello operativo gli economisti di Bank of America sono nel gruppo dei pessimisti sulla Cina, che sta perdendo attrattiva in rapporto alle altre aree economiche: “I dati globali stanno gradualmente confermando la nostra opinione secondo cui i principali blocchi economici sono probabilmente in fase di disaccoppiamento. Gli Stati Uniti rimangono forti, mentre la Cina continua a deludere”, ha affermato il global economics team di BofA il 18 agosto, “in futuro, è probabile che questo disaccoppiamento continui o che l’impatto negativo di un rallentamento della Cina si ripercuota sulle prospettive degli Stati Uniti”. Per il momento, BofA mantiene un’impostazione ribassista sulla moneta cinese.
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