Il 2022 è stato un anno epico per il mercato obbligazionario, che ha visto i gestori spiazzati di fronte allo stravolgimento del pluriennale atteggiamento espansivo delle banche centrali. Ecco cosa attenderci dal 2023
Secondo Nicolò Nunziata di Marzotto Investment House, le obbligazioni dei paesi emergenti con conti pubblici di qualità, come il Messico, potrebbero beneficiare di un indebolimento del dollaro
Il 2022, secondo Marco Vailati (responsabile ricerca e investimenti di Cassa Lombarda), può essere definito come “un anno epico” per il mercato obbligazionario. Un anno in cui intere generazioni di gestori e operatori finanziari sono rimaste spiazzate di fronte allo stravolgimento del pluriennale atteggiamento espansivo delle banche centrali che hanno via via tentato di normalizzare le loro politiche monetarie. Determinando, in termini di performance, quella che Vailati ricorda come la peggiore annata di total return per tutti gli indici.
“Per fronteggiare le crisi che si sono susseguite nel tempo, dal 2008 in poi, le banche centrali avevano adottato sia misure tradizionali che non convenzionali per assumere atteggiamenti sempre più espansivi e sostenere i mercati”, racconta l’esperto. “Intere generazioni di gestori e operatori finanziari sono cresciute in quest’ambiente e si sono trovate spiazzate nel momento in cui ci si è avviati verso un ritorno alla normalità. Guardando su Bloomberg, non si trova un anno in cui le obbligazioni abbiano registrato performance peggiori. Rendendo difficile anche spiegare al risparmiatore finale le ragioni di un rendiconto negativo, non essendo abituato a perdere sulla componente più safe del portafoglio soprattutto alla luce della decennale politica espansiva delle banche centrali”.
Come ricorda Nicolò Nunziata, strategist di Marzotto Investment House, tra il secondo semestre del 2021 e l’inizio del 2022 – a fronte di dati macroeconomici in peggioramento – le obbligazioni non hanno subito scossoni in quanto gli investitori erano rassicurati dalle dichiarazioni delle banche centrali che consideravano temporaneo il fenomeno dell’inflazione. “Quello che è successo dopo, quando il linguaggio delle banche centrali è cambiato (in ritardo) è che il mercato si è adeguato con un realismo ai limiti dell’esagerazione”, spiega Nunziata. “L’esempio più clamoroso arriva in agosto: esce l’inflazione Usa sui dati di luglio, sensibilmente migliore rispetto alle stime. Da quel momento in poi, se si guarda al breve americano, si calcolano 230 punti base di rialzo (al mese di novembre 2022, ndr). Il che vuol dire che c’è stato uno scollamento. Solo che partendo da tassi molto bassi, fondamentali in peggioramento e banche centrali in ritardo, il mercato si è adeguato all’eccesso. Per cui adesso i tassi sono a mio avviso troppo alti rispetto a come sta evolvendo il contesto macroeconomico, perlomeno sulle scadenze brevi, e c’è il rischio che le banche centrali siano andate troppo oltre”.
Continuando a guardare con lo specchietto retrovisore al 2022, continua Vailati, in questo scenario piuttosto fosco hanno brillato i titoli indicizzati all’inflazione essendo riusciti a compensare almeno in parte – a seconda della duration – il danno di capital loss conseguente all’aumento dei tassi e all’adeguamento dei prezzi. “Per il resto è stata una sofferenza abbastanza diffusa e condivisa fra tutte le componenti obbligazionarie, sia quelle governative sia a maggior ragione quelle a spread”, osserva Vailati. Il gap di performance dei titoli indicizzati all’inflazione, precisa tuttavia l’esperto, potrebbe non ripetersi nel 2023. O almeno non nelle stesse proporzioni. “Personalmente penso che l’inflazione per un po’ resterà alta, ma questo non significa che ci sarà ulteriore sorpresa come in passato e che i titoli legati all’inflazione saranno altrettanto vincenti. Ricordiamoci che oggi prezzano già l’aspettativa di inflazione esistente. Quindi, per ottenere dei guadagni, l’inflazione dovrebbe sorprendere ulteriormente al rialzo. Penso che sia possibile, probabile anche, ma non con la stessa ampiezza del 2022”, stima Vailati.
L’outlook 2023 di Cassa Lombarda – storica banca private guidata da Paolo Vistalli – per titoli a spread e titoli corporate, sia investment grade che high yield sia area euro che dollaro, resta altrettanto improntato alla cautela. Almeno per la prima parte dell’anno. “Temo che non sia ancora finito il rialzo dei tassi governativi”, avverte Vailati. “Essendo legati ai tassi di riferimento, subiranno quanto meno lo stesso aumento. Lo spread potrebbe remunerare, ma credo sia difficile che si riduca. Infatti, se andiamo incontro almeno a un inizio 2023 di rallentamento, questo metterà sotto pressione i margini societari, la solidità dei bilanci e il prezzo che l’investitore chiede per finanziare queste attività, cioè lo spread rispetto al governativo”, continua l’esperto.
Di fronte a uno spread stabile o a rischio di ampliamento e un tasso dei governativi che potrebbe alzarsi, spiega, emerge dunque un rischio di capital loss. “E il gioco vale la candela solo se stiamo su duration corte e società solide. In altre parole, high yield e investment grade da guardare con molta cautela e duration contenuta, cercando di minimizzare i rischi e limitare i danni. Almeno per la prima metà dell’anno. Poi potrebbe cambiare la musica, ma dipenderà da come si evolverà la crescita da un lato e il controllo dell’inflazione dall’altro”, conclude Vailati.
Secondo Nunziata, sono tre invece le migliori opportunità che potrebbe offrire il comparto del reddito fisso nei prossimi 12 mesi. Innanzitutto, le obbligazioni dei paesi emergenti con conti pubblici di qualità come il Messico, che potrebbero beneficiare sul lato valutario di un indebolimento del dollaro. “Poi i developed markets (mercati sviluppati, ndr), considerando tutta la parte breve-intermedia della curva, per cui dai 2 ai 6-7 anni; segmenti di mercato in cui il rapporto rischio-rendimento in questa fase è molto positivo”, aggiunge lo strategist. “E infine i developed ma con duration enormemente lunghe, come i Matusalem bond, che garantiscono una grandissima convessità al portafoglio”.
(Articolo tratto dal magazine We Wealth di dicembre 2022)